Si ringrazia l’autrice e la casa editrice Edizioni di Comunità per aver concesso i diritti di pubblicazione elettronica del testo.
Dall’incipit del libro:
Per Walter Benjamin le Esposizioni universali di fine Ottocento segnano un passaggio nodale nel clima ideologico e artistico che accompagna l’età dello sviluppo capitalistico. Trasfigurando il valore di scambio delle merci e oscurandone ogni valore d’uso, queste mostre inaugurano una nuova forma di spettacolo «distratto» e «alienante», in cui il feticcio-merce si autocelebra davanti ad un pubblico di massa. «La fantasmagoria della città capitalistica tocca la sua espansione più radiosa nell’Esposizione universale del 1867».
I promotori dell’Esposizione nazionale delle arti e delle industrie allestita a Milano nel maggio del 1881 erano certamente ben lontani dal riconoscersi in questa affermazione: non solo Milano non era Parigi, secondo un ritornello comune e diffuso nella città lombarda, ma soprattutto lo sviluppo industriale e commerciale di cui l’Esposizione doveva dar conto non ammetteva paragoni con i traguardi raggiunti dall’economia francese.
Eppure, al di là dell’atmosfera fascinatoria di cui parla Benjamin, con la mostra del 1881 anche Milano si impegna a offrire ai visitatori uno «spettacolo» fantasmagorico che celebri le fasi iniziali del progresso industriale: la città, mettendo in vetrina la propria immagine modello, si dichiara decisa a percorrere senza incertezze o tentennamenti la strada intrapresa.


