Dall’incipit del libro:
Il divino Raffaello ebbe tre distinte maniere di dipingere: e io, modestamente imitandolo, intenderei di averne almeno due: poiché scrittorelli e poetastri, da cattivi a pessimi, sono pur sempre pittori. Avverto dunque, a comodo di chi bramasse saperlo, che la mia seconda maniera comincia dall’opuscolo presente, del quale entro a dare in breve le filosofiche ragioni. Questo è indispensabile in un secolo che vuol veder chiaro in tutto, perfino nello scopo dei libri inutili, che d’ordinario si compongono o per vanità di fama o per pungolo di fame. Il mio primo maestro o, per continuare la similitudine, il mio Perugino fu sventuratamente quel vecchio pagano di Orazio Flacco, alla cui scuola io non appresi che la malizia e l’arte delle piccole bricconerie. Egli m’insegnò nientemeno che la satira, il genere di scrittura più immortale e anticristiano che dir si possa; la buffona e arrogante satira che osa giudicare i gusti del bel mondo, e farsi beffe degli adorabili capricci della moda. Incaponito dietro a quei precetti fallaci, mi posi avventatamente a scrivere e pubblicare il mio magro parere su tutto, e a menar colpi da orbo, e a fare il Don Chisciotte in favore della verità , la più ingrata delle Dulcinee, e in difesa del buon senso che è un servitore più ridicolo e goffo di Sancio Pancia.


