Maria RygierMaria Rygier nacque a Cracovia (Polonia) il 5 dicembre 1885. Altre fonti che indicano la data e il luogo di nascita il 28 giugno 1886 a Firenze sono ormai considerate certamente erronee. L’errore nasce dal fatto che il padre – Teodor Rygier che era uno scultore di buona fama – al momento della nascita di Maria viveva e lavorava a Firenze. La madre, presentata come legittima, era Sabina Rozycka, commessa di studio; tuttavia sembra certo che Maria fosse nata da una relazione tra Teodor e una sua modella. Il padre – noto ancor oggi per essere l’autore del monumento ad Adam Mickiewicz a Cracovia – era di vedute conservatrici.

Nel 1886 la famiglia si trasferì da Firenze a Roma e qui Maria Rygier trascorse i suoi primi diciotto anni. Nel 1904 abbandonò la capitale e, insieme con la madre, decisa alla separazione da Teodor, si trasferì a Milano; Luigi Majno, deputato socialista, aveva promesso loro ospitalità e protezione insieme alla moglie Ersilia Bronzini, attivissima nel movimento emancipazionista femminile, al quale Maria già si era avvicinata avendo conosciuto a Roma Sibilla Aleramo. Maria aderì quasi subito alle idee del socialismo rivoluzionario – già si era avvicinata al socialismo quando a Cracovia nel 1898 partecipò alle manifestazioni per l’inaugurazione del monumento ad Adam Mickeiwicz – divenendo segretaria della Sezione femminile dell’Unione degli impiegati e commessi delle aziende private e collaborò attivamente al quindicinale dell’organizzazione, “L’Unione”, scrivendo non solo di problemi sindacali di categoria ma affrontando anche argomenti politico-sindacali e rivolgendosi soprattutto alle donne allo scopo di stimolarle ad abbandonare la rassegnazione imposta per secoli da padri e da mariti e battendosi a favore del suffragio femminile. Tutto questo provocò l’allontanamento dalla protezione di Luigi ed Ersilia Majno.

Un articolo scritto in seguito allo sciopero generale nazionale del settembre 1904, fu causa del suo primo incontro con la repressione: venne incriminata per “incitamento all’odio fra le varie classi”. Scrive tra l’altro:

«La politica non deve essere la “bestia nera delle donne”, bisogna anzi che le donne si convincano della necessità di partecipare all’azione collettiva per l’elevamento del proletariato: quelle salariate inscrivendosi nelle proprie leghe di mestieri; le altre incitando e non scoraggiando, come avviene qualche volta, i propri mariti e figli ad appartenere alla organizzazione di classe e a compiere sempre verso i compagni il dovere della solidarietà e dell’aiuto reciproco». [Quattro chiacchiere sulla politica. La bestia nera delle donne, in “La donna socialista”, a. I, n.2, 29 luglio 1905].

È facile scorgere in questo pensiero la transizione da una visione di “mutuo soccorso” a concezioni nuove e di classe. Solidarietà e reciproco aiuto evolvono in “azione collettiva”.

Nel gennaio 1905 partecipò al congresso genovese delle Camere del lavoro e conobbe il tornitore Virginio Corradi, rappresentante dei sindacalisti rivoluzionari della Camera del lavoro di Milano. Con Virginio Corradi si sposerà l’anno successivo acquisendo così la cittadinanza italiana e rinunciando al mantenimento paterno. Sempre all’inizio del 1905 fu nominata membro della Commissione di controllo della Camera del lavoro milanese e iniziò a collaborare all’“Avanguardia socialista” di Arturo Labriola e Walter Mocchi; nello stesso periodo si distinse per una attiva propaganda antimilitarista.

Dopo la sconfitta dei sindacalisti rivoluzionari all’interno della Camera del lavoro si dedicò principalmente al giornalismo. Nel dicembre 1906 divenne redattrice responsabile del nuovo periodico sindacalista milanese “La Lotta di classe” e all’inizio del 1907 del quindicinale antimilitarista “Rompete le file!”, del quale fu, insieme a Filippo Corridoni, Edmondo Mazzuccato ed Edmondo Rossoni, la principale animatrice e redattrice. Lo scopo di questo giornale era di far avvicinare l’esercito alla causa rivoluzionaria. Come molti altri militanti rivoluzionari in quel periodo fu influenzata dalle idee che George Sorel esprimeva in quegli anni.

La sua attività giornalistica e la partecipazione alla manifestazione di fronte alla Prefettura del 4 luglio 1907 insieme a Corridoni e Calura, e l’assalto all’Arcivescovado del 21 luglio 1907 per protestare contro atti di pedofilia di alcuni preti la condussero di fronte ai giudici e fu condannata a venti mesi di reclusione il 3 agosto, a sei mesi il 22 agosto, sei mesi e dodici giorni il 10 settembre 1907, due anni il 14 febbraio 1908. Il padre fece domanda di grazia in base a problemi di salute della figlia; la domanda venne respinta dal questore di Milano che dichiarò che la carcerazione avrebbe avuto effetti positivi sulla salute di Maria Rygier la quale, portatrice di una personalità che che la spinge a voler “rendersi celebre”, si sarebbe giovata del riposo tranquillità e quiete del carcere. Ma la stessa Maria aveva già rifiutato con decisione l’iniziativa del padre. La detenzione fu trascorsa prevalentemente nel carcere fiorentino di S. Viridiana e durante questa le iniziative a favore della scarcerazione di Maria Rygier furono numerose. Tornò in libertà in seguito all’amnistia del febbraio 1909 e il 14 dello stesso mese ritornò a Milano accolta da manifestazioni entusiaste dei suoi sostenitori. In quel periodo abitava nel caseggiato di via S. Gregorio della Mutua macchinisti.

La condotta che Maria Rygier tenne costantemente nei dibattimenti, tesa non tanto a difendersi ma a dare propulsione alle proprie idee, la fece diventare un simbolo per i sostenitori del libero pensiero e certamente un elemento disturbante per il perbenismo borghese, per il quale una presenza femminile sulla scena politica e con quelle caratteristiche era cosa del tutto anomala. A questo aspetto vanno collegate certamente le accuse – che l’accompagneranno poi per tutta la vita – di isteria e di trascuratezza personale. La sua immagine eroica fu rinvigorita anche dalle lettere dal carcere al marito, che prontamente venivano accolte e pubblicate dalla stampa.

L’esperienza della carcerazione le fornì il materiale per promuovere una campagna sulle situazioni delle carceri femminili che andava dalle condizioni igieniche pessime al sadismo delle monache. Le sue circostanziate accuse portarono alla chiusura, nel giugno del 1910, del riformatorio di Perugia. La campagna non fu solo a mezzo stampa ma anche supportata da intensa attività di conferenziera.

Nell’aprile 1909 presiedette il Congresso provinciale delle leghe aderenti alla Camera del lavoro di Parma; fu sostenitrice dell’adesione alla Confederazione generale del lavoro. Ancora presidente al Congresso nazionale della resistenza a Bologna nel maggio 1909, propugnò ulteriormente la medesima posizione. Ancora processata nello stesso anno pronunciò un discorso di autodifesa di fronte al tribunale di Mantova il 27 ottobre 1909, discorso che fu poi pubblicato in opuscolo dalla casa editrice Controcorrente di Bologna.

Nel gennaio 1910 si separò dal marito che aveva nel frattempo sperperata la dote di lei a causa di speculazioni avventate, e si trasferì a Bologna; in questa fase le sue posizioni ebbero un’evoluzione dal sindacalismo rivoluzionario in direzione dell’anarchismo. Spiegò le ragioni di questa nuova presa di posizione nell’opuscolo Il sindacalismo alla sbarra, edito nel 1911. La separazione dal marito le consentì un riavvicinamento al padre. La sua attività di conferenziera fu in questo periodo molto apprezzata. I temi spaziavano dall’antimilitarismo, alle condizioni dei detenuti, dalla religione, al libero pensiero, dal ruolo della donna, all’organizzazione anarchica. Il 29 luglio 1911, nel decennale della morte di Umberto I, tenne nel salone dell’Arte Moderna a Milano una conferenza nella quale sostenne le ragioni della legittimità e necessità del regicidio di Bresci. Nello stesso periodo collaborò a “L’Agitatore”, ricoprendo anche incarichi di responsabilità all’interno della redazione dello stesso giornale.

Venne nuovamente arrestata in seguito a un non chiarito incidente nel maggio 1911. Tornando in treno da un giro di conferenze tenute in Svizzera, un contenitore di fosforo che aveva con sé aveva preso fuoco. Le manifestazioni di solidarietà della stampa anarchica e del sindacalismo indussero il Ministero dell’Interno a una rapida celebrazione del processo. Dapprima condannata venne posta in libertà provvisoria dopo il rapido ricorso in appello.

La sua ardente foga antimilitarista ebbe una nuova impennata al momento della guerra di Libia e in seguito al noto gesto di ribellione di Augusto Masetti. Un articolo a sostegno dello stesso sulle colonne de “L’Agitatore” portò all’arresto dell’intera redazione con l’eccezione di Armando Borghi che fece in tempo a fuggire all’estero.

Durante la detenzione preventiva venne arbitrariamente coinvolta nell’attentato di Antonio D’Alba, che l’aveva nominata come appartenente a un imprecisato gruppo di mandanti, al re Vittorio Emanuele III (attentato che provocò il ferimento di un corazziere e di un cavallo); al processo, anche se decaduta quest’ultima palesemente infondata accusa, fu comunque condannata a tre anni di reclusione. Questa nuova condanna portò all’estensione della campagna di solidarietà con Maria Rygier a livello internazionale coinvolgendo in particolare la stampa francese. In conseguenza di questa campagna fu alloggiata nell’infermeria del carcere in camera appartata e con particolare assistenza. Ancora una volta respinse la domanda di grazia nuovamente inoltrata dal padre. Fu scarcerata nel dicembre del 1912 in seguito a una nuova amnistia, e riprese la guida della redazione de “L’Agitatore” cosa che fu la causa detonante del dissidio con Domenico Zavattero (vedi: https://liberliber.it/autori/autori-z/domenico-zavattero/). Al termine della becera polemica sia “L’Agitatore” che “la Barricata” (il giornale al quale Zavattero aveva dato vita) cessarono le pubblicazioni.

Proseguì l’attività in sostegno di Masetti con varie conferenze anche in Francia, dove era riparato Borghi. A Parigi fu ospite di Felice Vezzani, il più importante punto di riferimento dell’anarchismo italiano. “La Bataille syndicaliste” pubblicò in questo frangente un articolo che, prendendo spunto dalle vicende di Maria Rygier, sferrò un attacco a magistratura e polizia italiane. Era in corso in Francia la battaglia sostenuta, vanamente, dalla SFIO e dalla CGT contro la riforma della ferma militare che era in progetto di essere portata alla durata di tre anni. Anche Maria si prodigò in questa direzione, non mancando mai di sferrare attacchi alla monarchia. Nel 1913 fu anche a Londra e tornata a Parigi partecipò al Congresso comunista anarchico francese.

All’inizio di settembre fece ritorno a Bologna. Sempre impegnata in prima linea per la campagna a favore di Masetti – più di una volta fu a fianco di Malatesta durante varie conferenze – fu promotrice, in qualità di segretaria del Comitato nazionale pro Masetti, delle manifestazioni del 7 giugno 1914, festa dello Statuto, che segnarono in pratica l’inizio della “settimana rossa”, in particolare in seguito all’epilogo delle manifestazioni di Imola e Ancona. La sera del 10 giugno Maria parlò a Faenza e al termine della conferenza una folla esasperata cercò di incendiare il duomo e altre chiese. Ma probabilmente il prossimo mutamento di posizioni di Maria Rygier stava già maturando. È infatti del 1914 il suo avvicinamento e la sua adesione alla massoneria e l’abbandono del quindicinale fondato da Anna Kuliscioff “La difesa delle lavoratrici” che aveva lanciato un accorato appello Contro la guerra.

Dopo la “settimana rossa” Maria ritornò in Francia, proseguendo l’attività di conferenziera e annunciando l’imminenza dell’avvento della repubblica in Italia. Rientrò in Italia all’inizio della guerra su posizioni neutraliste se pure in sostegno alla Francia in particolare con l’articolo La bancarotta della politica monarchica in Italia, pubblicato su “Il Libertario” il 13 agosto 1914, ma il 14 settembre a Roma, durante la commemorazione di Cesare Colizza e dei giovani repubblicani caduti in Serbia, affermò per la prima volta la necessità di un intervento italiano nella “guerra di liberazione”. Da quel momento in poi Maria Rygier si trovò allineata alle posizioni di Alceste De Ambris, di Oberdan Gigli, di Mario Gioda, di Massimo Rocca e dei primi interventisti rivoluzionari. Insieme a Gigli scrisse il manifesto Per la Francia e per la libertà, che verrà sottoscritto da Mantica, Dinale, Masotti, Ciardi, Bitelli, Tenerani, ecc.

Un così repentino mutamento di posizioni provocò ovviamente gli attacchi della stampa anarchica, sbigottita che l’eroina del giorno prima avesse potuto così improvvisamente divenire «Marietta la vipera guerraiola». Il 5 ottobre 1914 pronunziò una conferenza, insieme all’anarchico interventista Massimo Rocca (meglio noto con lo pseudonimo di Libero Tancredi) alla sede della società operaia di Bologna. Il titolo della conferenza era La morale di una guerra. La conferenza fu duramente contestata dai socialisti presenti con urla e lancio di seggiole. Tra i colpiti vi fu anche Leandro Arpinati, altro ex anarchico divenuto interventista e successivamente squadrista e podestà di Bologna. Contro il contenuto di questa conferenza polemizzò aspramente Ettore Molinari.

Il 24 e 25 gennaio 1915 fu presidente insieme a Angelo Oliviero Olivetti e della rivoluzionaria anarco-sindacalista francese Madame Sorgue (pseudonimo di Antoinette Cauvin) al Congresso nazionale dei fasci interventisti e, nel suo discorso, rivendicò il dovere degli italiani di liberare Trento e Trieste “dall’oppressione teutonica”.

Maria collaborò in questo periodo con “L’Internazionale”, “La Guerra sociale”, “Il Popolo d’Italia”, “L’Iniziativa”, abbandonando definitivamente le posizioni di classe in nome della patria. Si avvicinò alle posizioni del Partito Repubblicano pubblicando Sulla soglia di un’epoca. La nostra patria. La sua attività si affievolì una volta raggiunto l’obiettivo dell’entrata in guerra italiana. Alla fine del 1915 si trasferì a Genova e nel febbraio 1916 partecipò al Congresso repubblicano di Roma.

Nel 1917 ricoprì per un breve periodo l’incarico di segretaria della Camera del lavoro di Roma, ma i rapporti ormai deteriorati con le organizzazioni operaie la inducono ad abbandonare presto questa carica. Nello stesso anno fondò insieme a Teresa Labriola la Lega patriottica femminile. Si avvicinò agli ambienti monarchici e liberali e il suo pensiero si volse a sostegno della classe borghese, dalla quale proveniva e con la quale si riconciliava. Fondò il Fascio romano per la difesa nazionale e aderì all’Unione popolare antibolscevica.

Nel dopoguerra non entrò a far parte del movimento fascista, nonostante il suo avvicinamento ai nazionalisti; si iscrisse nel gennaio del 1921 ai fasci di combattimento di Roma per sostenere – disse – i principi liberali e monarchici contro la tendenziosità repubblicana che le pareva manifestata da Mussolini. Al primo assalto fascista nel 1923 nei confronti di un’associazione liberale – l’Organizzazione civile del Lazio che era nata dall’Unione popolare antibolscevica – presso la quale aveva residenza, si allontanò definitivamente dal fascismo denunciandolo come «momento di confusione e di terrore che attraversa il nostro paese». Anche la persecuzione fascista verso la massoneria contribuì alla sua decisione, temendo di venire arrestata, nel 1926 di emigrare in Francia, dove rimase fino al 1945, vivendo tra stenti e difficoltà, non risparmiando duri attacchi a Mussolini. Con un noto opuscolo del 1928 accusò Mussolini stesso di essere stato una spia dei francesi nel 1904. Si fece promotrice di una campagna per la liberazione del generale Luigi Capello, persuasa che potesse essere l’uomo giusto per provocare la caduta del fascismo.

Furono per lei anni di grandi difficoltà anche economiche e pare che abbia meditato il suicidio. Rientrò in Italia nel secondo dopoguerra, riprendendo la militanza nel partito liberale e avendo una parte non trascurabile nella posizione a favore della monarchia che il partito assunse nel 1946. Cercò con alcuni articoli di delimitare le responsabilità di casa Savoia rispetto all’ascesa del fascismo. Fece parte dell’associazione nazionale delle donne elettrici e si fece promotrice di progetti di legge a tutela delle donne e per la loro ammissione nelle giurie popolari. Morì a Roma il 10 febbraio 1953.

Fonti:

  • B. Montesi, Voce Rygier Maria Anna, in Dizionario biografico degli anarchici Italiani, V. 89 (2017)
  • M. Antonioli, RYGIER, Maria Anna, in sito Biblioteca Franco Serantini
    https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/14678-rygier-maria-anna?i=?i=0ù
  • G. Cerrito, L’antimilitarismo anarchico italiano nel primo ventennio del secolo, Pistoia, 1968.
  • B. Di Porto, Maria Rygier o della passionalità in “Il pensiero mazziniano” luglio-settembre 1991.
  • P. C. Masini, Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla Prima Guerra Mondiale, Pisa 1999.
  • B. Montesi, Un’ “anarchica monarchica”. Vita di Maria Rygier. Napoli-Roma, 2013.

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • La donna italiana
    Questo opuscolo del 1917 è essenzialmente propagandistico, ma presenta un suo particolare interesse nel tentativo che l’autrice fa di mediazione tra la sua idea di emancipazione femminile e le esigenze belliche. L’autrice affronta anche il tema demografico, decisamente attuale.
 
autore:
Maria Rygier
ordinamento:
Rygier, Maria
elenco:
R

Note biografiche a cura di Paolo Alberti