Oscar Randi nacque a Zara il 19 giugno 1876.
Zara era, all’epoca, centro urbano di circa 20.000 abitanti con prevalenza di italiani rispetto a serbi e croati; era l’unica città della Dalmazia con questa caratteristica – pur tenendo conti delle diverse origini dei ceppi di origine italiana – e risultava quindi l’epicentro dell’opposizione a ogni idea di annessione della costa dalmata alla Croazia e del rifiuto delle ideologie nazionali – pancroatismo, panserbismo, jugoslavismo – sviluppatesi nella Slavia del sud nel corso del XIX secolo. Lo scontro tra nazionalisti croati e jugoslavi e autonomisti italofili, difensori di un’identità nazionale dalmata e dell’uso della lingua italiana fu il perno essenziale attorno al quale ruotava la vita politica dalmata tra il 1861 e la prima guerra mondiale.
In questo ambiente di vivace vita politica e culturale Oscar Randi visse la propria giovinezza. Dopo aver completato gli studi universitari alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Graz, cominciò a interessarsi di politica schierandosi a favore del partito autonomista. In questo senso si legò particolarmente a Roberto Ghiglianovich che, insieme a Luigi Ziliotto, era alla testa dell’autonomismo dalmata a Zara fin dalla fine del XIX secolo. Ghiglianovich partendo da una tradizione politica autonomista fondata su coesistenza e fusione tra la componente slava e italiana (così come era stata vista da Tommaseo e Bajamonti) approdò poi a una visione d’identità politica sempre più italiana giungendo alla scelta irredentista di una annessione della Dalmazia all’Italia.
Sotto l’impulso di Ghiglianovich, Randi prese a scrivere saggi e articoli storico-politici sui giornali italiani della Dalmazia che avessero l’obiettivo di confutare le opinioni dei nazionalisti croati che negavano la presenza di una componente autoctona italiana nei territori dalmati, considerando l’influenza italiana in Dalmazia una conseguenza di secoli di dominazioni straniere; in base a questo gli italiani dalmati sarebbero stati solo slavi-italianizzati. La scuola storiografica italiana instauratasi in Dalmazia, analogamente a quella della Venezia Giulia e del Trentino, era tesa a dimostrare l’esistenza antica di una tradizione romana e neolatina che rendeva quindi particolare e diversa la storia della Dalmazia rispetto a quella dei popoli jugoslavi e balcanici.
L’inserimento di Randi nel filone aperto di questi studi avvenne quando questi erano ormai ben consolidati in direzione di un nazionalismo difensivo italiano in netta contrapposizione alle spinte assimilazioniste della maggioranza serbo-croata.
Tra i tanti esponenti di questi studi storiografici vale ricordare Vitaliano Brunelli, giornalista politico e professore al Ginnasio di Zara nonché direttore della biblioteca comunale fino alla prima guerra mondiale. Fin dal 1908 cominciarono ad essere pubblicati articoli di carattere storico su Il Dalmata di Zara che era il principale giornale autonomista della Dalmazia. Nel 1911 questi articoli vennero raccolti nel volume Per l’italianità della Dalmazia e pubblicati sotto le pseudonimo di Dalmaticus. L’obiettivo era dimostrare, con toni fortemente polemici, la realtà storica, geografica e culturale della Dalmazia come del tutto diversa e indipendente dalla Croazia e la popolazione come prodotto di una peculiare mescolanza tra varie stirpi latine e slave. Mitigato dalle punte polemiche più accese ma pur sempre con netta caratterizzazione politica fu lo studio scritto tra il 1910 e il 1914 pubblicato in Italia nel 1914 L’Adriatico. Studio geografico storico e politico. Il libro era finalizzato a dimostrare il legame storico e culturale della Dalmazia all’Italia e all’occidente, legame consolidato dalla disposizione geografica che mentre separa con le Alpi dinariche la costa dalmata dal territorio danubiano la mette invece comunicazione tramite l’Adriatico con l’Italia.
Randi analizza vari elementi politici che, a suo dire, indicano la futura ascesa dell’Italia nell’Adriatico e in Europa per cui l’Italia avrebbe dovuto tornare a interessarsi presto delle sorti della Dalmazia consolidando il ruolo egemone sull’Adriatico ma in armonia con gli altri popoli adriatici e nel rispetto delle loro identità nazionali. Idee che pareva potessero essere confermate in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale: l’ipotesi di salvaguardare l’italianità dalmata attraverso l’annessione all’Italia di parte della Dalmazia sembrava prendere corpo. Durante la guerra, pur essendo alle dipendenze delle poste austriache (di cui era funzionario), pare abbia collaborato segretamente con i servizi di informazione della Marina italiana.
Ma alla fine della guerra Ghiglianovich ritenne opportuno farlo venire in Italia e Randi fu assunto come membro dell’ufficio stampa della delegazione italiana alla conferenza di pace di Parigi. Forte della perfetta conoscenza della lingua serbo-croata, nel 1920 divenne funzionario dell’ufficio stampa del ministero degli affari esteri e successivamente negli anni trenta entrò al ministero per la Cultura popolare, sempre alle dipendenze dell’ufficio stampa. Prese quindi residenza a Roma fin dal 1920 legandosi agli ambienti nazionalisti e aderendo con convinzione al regime fascista. Fu contrario a come il trattato di Rapallo definiva l’assetto territoriale della Dalmazia annettendo all’Italia le sole città di Zara, Lagosta e Pelagosa.
Le tensioni in Dalmazia andarono aumentando; da una parte per il permanere di mire espansionistiche da parte del Regno d’Italia e per la poca tolleranza italiana per l’autonomia linguistica, scolastica e culturale, verso croati e sloveni dei territori annessi, e dall’altra per le strumentalizzazioni da parte del governo di Belgrado riguardo a questi fermenti di malumore.
Ovviamente la propaganda del regime fascista usò il tema della “vittoria mutilata” come strumento di pressione verso la Jugoslavia al fine soprattutto di vedersi riconosciuta l’egemonia in Albania.
Randi collaborò con riviste nazionaliste e fasciste: “Rassegna Italiana”, “Politica”, “Vita italiana”. Numerosi i suoi scritti su “La Rivista dalmatica” tra i quali va ricordato “Niccolò Tommaseo nella politica” del 1924.
Gli scritti di Randi in quel periodo sono tra i pochissimi sull’argomento a superare la dimensione propagandistica e a collocarsi sul terreno di una reale conoscenza della realtà storica, sociale e politica. Del 1922 è La Jugoslavia, del 1927 Nicola P. Pasic, poi La Romania antica e moderna (1924), I popoli balcanici (1929), Nei Balcani (1939).
Del 1929 è l’interessante studio pubblicato in “La rivista dalmatica” sui Morlacchi, dei quali ricostruisce la intricata origine etnica servendosi soprattutto del loro linguaggio, simile al rumeno, e assimilabile ad alcuni dialetti neolatini. Randi si serve di questi ragionamenti per confutare l’idea della purezza slava della Dalmazia evidenziando invece la fusione di varie etnie (slave illiriche e latine). Prosegue su questa strada con il saggio Dov’è la Morlacchia? su “Il dalmatino” nel 1940.
Tra il 1941 e il 1943 partecipò attivamente alle vicende belliche che coinvolsero la Dalmazia mostrandosi entusiasta della decisione del governo italiano di conquistare una parte della Dalmazia; il suo punto di vista era però orientato all’annessione di tutta la costa dalmata. Abbiamo riscontro di questo leggendo il Diario delle ansie dalmatiche (1940-41) pubblicato, a cura di Tullio Chiaroni, su “La Rivista dalmatica” nel 1980. Il ministero della Cultura popolare lo inviò in Dalmazia dove rimase fino a poco prima dell’8 settembre 1943.
Negli ultimi anni della sua vita, esule a Roma, non poté fare altro che assistere impotente alla distruzione dell’italianità dalmata, simile peraltro a quella di tante altre minoranze europee centro-orientali, condannate all’estinzione per i conflitti di potere tra stati. La situazione degli italiani in Dalmazia, vittime prima della politica asburgica, dell’Italia fascista e della Jugoslavia monarchica, peggiorò ancora per i giochi di potere del comunismo jugoslavo, che solo apparentemente osservava i principi di rispetto delle identità culturali e linguistiche di tutti i popoli che concorrevano a formare la Jugoslavia, ma che in sostanza fece tutt’altro che resistenza alla xenofobia antitaliana che si poté scatenare nelle città e nelle isole dalmate.
Nel 1943 aveva dato alle stampe Dalmazia etnica, Incontri e fusioni. Si tratta di opera divulgativa sulla storia della Dalmazia dall’epoca preromana fino al Novecento. Troviamo in quest’opera la consapevolezza, purtroppo tardiva, delle conseguenze pericolosissime che la guerra mondiale e le mire fasciste sulla Dalmazia avrebbero avuto sugli italiani dalmati. La auspicata convivenza pacifica era fallita, anzi le atrocità della lotta tra partigiani slavi e italiani aveva raggiunto vette raccapriccianti. Appare un testo onesto, dove sembra presagire che il volgere al termine della propria vita coinciderà con la scomparsa della civiltà stessa nella quale era cresciuto e si era formato.
Nel 1945, quasi a trovare una pausa nella sua attività politica e storiografica, tradusse il romanzo del rumeno Mihail Sebastian, L’incidente.
Morì a Roma il 13 dicembre 1949.
Fonti:
- L. Monzali, Oscar Randi, scrittore di storia dalmata. In: “Clio, Rivista trimestrale di studi storici”, Anno XXXVI n. 4. 2000.
- Francesco Semi, Oscar Randi, in AA.VV. Istria e Dalmazia. Uomini e tempi, Udine, 1992.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- I popoli balcanici
In questo testo del 1929 il Randi compie un excursus dettagliato e documentato sulle condizioni storiche e geografiche che hanno portato a definire le popolazioni che sono insediate sul territorio dei Balcani. La prima parte è quindi utile a tutt’oggi per comprendere e studiare l’origine e la specificità delle varie etnie e dei loro conflitti, almeno fino al quasi completo allontanamento dei turchi dal territorio balcanico. Nella seconda parte la necessità del regime dell’epoca, al quale il Randi aveva entusiasticamente aderito, che vedeva nella questione dalmata un utile cavallo di battaglia per le rivendicazioni espansionistiche italiane, porta l’autore a formulare soprattutto slogan propagandistici tesi ad auspicare e pronosticare un’egemonia italiana su tutta la penisola balcanica.