Pia RiminiPia Rimini nacque a Trieste l’8 gennaio del 1900 da padre ebreo e madre ariana. Entrambi però avevano aderito alla fede cattolica prima del matrimonio. Pia ricevette quindi il battesimo cattolico l’11 luglio 1900 nella parrocchia Beata Vergine del Soccorso da Don Giusto Tamaro. La casa natale era situata in Via degli Armeni 6. Fin da ragazzina mostrò capacità importanti di scrittura e fu incoraggiata dalla famiglia che le consentì di sviluppare la sua personalità attraverso un percorso di istruzione e di frequentazione culturale che le permettesse di esprimere al meglio le proprie qualità e caratteristiche.

La Trieste “bene” si mostrava scandalizzata dalla libertà sentimentale di Pia. Culmina, questa petulanza della gente, in concomitanza con la presunta relazione con un ufficiale italiano delle truppe che erano entrate in Trieste al termine della prima guerra mondiale. Pare che questa relazione abbia portato a una gravidanza che si concluse con la nascita di un figlio nato morto e con l’abbandono da parte del seduttore. Pia aveva poco più di 18 anni ma la sua combattività era già indomita. Sembra infatti che abbia tenuto in quel periodo una conferenza presso un circolo culturale nella quale rivendicava il diritto, non solo alla propria libertà sentimentale tramite l’apologia della propria condotta, ma anche il buon diritto di una donna di sperimentare la maternità.

Si andava affermando come donna di acuta intelligenza, con grande sensibilità artistica, poliglotta e apprezzata conferenziera. La sua scrittura si rivelava estremamente innovativa per l’epoca. Fin dall’inizio degli anni ’20 aveva aveva collaborato con quotidiani e riviste: «Il popolo di Trieste», «Il Piccolo», «Il resto del Carlino», pubblicando inoltre novelle in «Annabella», «Giovinezza ed arte» (mensile culturale triestino), «Arte e morale» (rivista di Salerno) dove nel N. 1 del 1922 pubblicò un breve saggio sul poemetto Evangeline di Henry Wadsworth Longfellow. Il suo primo libro di racconti è Pubertà nel 1928 che ebbe buona recensione da Silvio Benco su «Il Piccolo» il 5 giugno 1928. Seguono La spalla alata (1929), Il Giunco (1930), Eva e il paracadute (1931), La mula di Trieste (in «Almanacco di Cordelia» 1931), Il diluvio (1933).

Le recensioni positive si susseguirono, sul «Corriere della Sera», il «Corriere Padano», «La Stampa». Parlò di Pia Rimini anche il prestigioso «Mercure de France» il 15 gennaio 1934. Ebbe un premio di incoraggiamento dall’Accademia d’Italia; ne dà notizia «Il Piccolo» il 22 Aprile 1934. Un nuovo premio da parte dell’Accademia d’Italia fu conferito il 23 aprile 1936. Pietro Zovatto ha ritrovato presso un’amica di famiglia 6 lettere di Silvio Benco e il romanzo incompleto e inedito Fiat Homo. La sua opera letteraria risente senza dubbio di una certa sua esperienza in campo sentimentale. Sono protagoniste nella sua narrativa donne di grande volontà e ribelli di indole che difficilmente riescono a completarsi attraverso un rapporto di soddisfazione con l’uomo. Quest’ultimo è spesso egoista e violento. L’impronta della sua narrazione è di tipo verista più vicino alla scuola di Zola.

A 37 anni si sposa, con rito cattolico, il 22 luglio 1937, con Ercole Rivalta, giornalista di spicco del «Giornale D’Italia», di 25 anni più vecchio di lei. Inizia così un periodo di conflitto tra l’amore per il marito e l’affetto e l’attaccamento per i genitori. Questi ultimi inizialmente si trasferiscono con la coppia a Livorno, ma rientrano a Trieste dopo poco più di un anno. Pia li segue inizialmente con l’approvazione del marito, il quale però vorrebbe ricostruire la convivenza matrimoniale e vedendolo impossibile chiede l’annullamento del matrimonio per inconsumazione alla s. Congregazione dei sacramenti. La risposta della Congregazione arrivò il 22 luglio 1942: “dalle prove finora dedotte non constare della inconsumazione del matrimonio”. Pia aveva nel frattempo conosciuto mons. Antonio Santin che aveva preso possesso della diocesi di Trieste all’inizio del settembre 1938. Iniziò quindi il suo percorso di conversione alla fede cattolica. Scrive nel 1940 a Mons. Santin:

“Ho imparato così ad amare il Signore, a cercare di vincere il mio orgoglio, a umiliarmi, a sentire il Signore sempre presente, a parlare continuamente col Signore, ad offrire a Lui ogni fatica della mia giornata, e a fare dopo ciascuna predica, un profondo e sottile esame di coscienza, da cui fiorivano i proponimenti buoni: saldi e invocanti la Benedizione Divina”.

Sembra così tramontata la fede laica che aveva caratterizzato tutto il periodo letterario dell’autrice. Ma il vecchio spirito di indipendenza e di autonomia verso le prevaricazioni maschili sembra trasparire da un’altra lettera a Mons. Santin:

“Le avevo chiesto di aiutarmi a ritrovare quell’Ercole buono che io ho amato nel modo assoluto che Ella sa, a cui mi sono ciecamente affidata, sentendolo quale l’uomo migliore che possa esistere. Quello che ci ha trattati con l’ingiustizia che Ella conosce […] quello che ha seguitato a torturarmi quest’inverno fino al Suo intervento, ritenendo noi responsabili delle cose fatte da lui e dicendoci colpevoli di cose assurde, con l’abilità che ha di invertire le parti in modo da voler avere ragione lui, quello che ha negato ciò che mi disse tante volte a voce e mi scrisse nella lettera di cui ho copiato la frase «che io potrò stare parte del tempo con lui e parte con i miei», quello che mi impose un ultimatum così crudele contrario a qualsiasi legge di bontà […] quello che mi scrisse quelle lettere inqualificabili e non soltanto mi trattò con una durezza che mi stupisce perché non ne credevo capace che un uomo che fosse cattivo […] è un uomo che in un momento di turbamento psichico, ha dentro di sé una specie di demone. L’Ercole che io ho amato e che ho sposato è un uomo buono. A quello intendo riunirmi. Non ad un uomo che, conoscendo la mia speciale e delicatamente affettuosa situazione di figlia, pretende che oltre a straziarmi il cuore, piantandoli sapendo quanto io sono loro necessaria e come vivono esclusivamente di me, io strazi i genitori, andando via senza sapere se e quando potrò ritornare”.

Nel Diario spirituale, che va dal primo gennaio al 16 giugno 1944 – pubblicato nel libro di Zoratto citato nelle fonti di questa nota biografica – il percorso verso momenti di estasi mistica è documentato ampiamente. La conversione, che accomunò numerosi ebrei triestini al momento dell’emanazione delle leggi razziali volute dal fascismo, appare del tutto sincera. C’è da dire che l’applicazione delle leggi razziali, giuridicamente rigide e spietate in ossequio alla subordinazione e dipendenza dalla Germania nazista, fu tra il novembre 1938 al settembre del 1943 attenuata da circolari e pareri più blandi. Starace raccomanda che “allo stato attuale delle cose è desiderio diffuso tra i cattolici che, tenuti presente i precedenti patriottici di molti ebrei triestini, si proceda con una certa larghezza nelle discriminazioni e che comunque si assicuri ai discriminati la possibilità di una vita sufficientemente serena”.

Anche il discorso di Mussolini pronunciato a Trieste in pompa magna il 18 settembre 1938, pur fortemente razzista, assicura “comprensione e giustizia” per gli ebrei di cittadinanza italiana che abbiano avuto meriti militari e civili nel confronti del regime. Questo contribuì probabilmente alla sottovalutazione dei rischi che stava correndo e che divennero palpabili e tragici al momento dell’occupazione nazista quando, dopo l’8 settembre 1943, Trieste entrò a far parte della “Zona di Operazione” dipendente direttamente da Hitler e dove quindi si applicava la legislazione tedesca per quanto concerne il razzismo.

Il 17 giugno 1944 Pia fu fermata e condotta alla Risiera di S. Sabba che era stata trasformata in caserma e prigione e che era luogo di smistamento di persone destinate alla deportazione ma anche luogo di esecuzioni capitali e di vero e proprio sterminio. Chiese ai gendarmi che la accompagnavano al comando di entrare da Mons. Santin nella curia vescovile. Il vescovo avrebbe voluto nasconderla o farla fuggire ma Pia rispose che si trattava solo di rispondere ad alcune richieste di generalità e sarebbe tornata a casa. Quando pochi giorni dopo, il 21 giugno, stava per essere deportata ad Auschwitz fece avere a mons. Santin un biglietto nel quale aveva scritto: “Parto per Auschwitz. Le affido i miei genitori. Dica loro che ritornerò”. Mons. Santin fece numerosi tentativi, scrivendo al papa, alle autorità germaniche, al comandante delle SS del litorale adriatico, alle autorità italiane e a regnanti neutrali per liberare Pia Rimini. Come aveva fatto per il caso dello scrittore Stuparich, imposta il problema razziale da un punto di vista giuridico “perché di padre ebreo e madre ariana e battezzata alla nascita per la legge italiana non è ebrea”.

Santin scrisse persino personalmente ad Hitler. Il 17 settembre 1944 il comando di polizia del litorale adriatico rispondeva così a mons Santin: “Pia Marangoni-Rivalta di razza mista è stata arrestata per propaganda in favore delle potenze nemiche e tradotta il 21-6 nel campo di concentramento di Auschwitz”. In comunicazione precedente (26 luglio) si affermava che “in base a comunicazioni di parte italiana essa viene considerata del tutto ebrea”. Le SS infierirono anche nei confronti degli anziani genitori che furono internati alla risiera e furono però liberati quasi subito per l’energico intervento di Mons. Santin. Verso aprile 1945 i genitori speravano ancora nel ritorno della figlia. La morte presunta di Pia Rimini veniva dichiarata il 21.10 1952 “alla data della mezzanotte del giorno 30.6 1944”. Quindi la data della morte veniva dichiarata a distanza di circa dieci giorni dalla partenza. Secondo una testimonianza, Pia sarebbe stata chiusa per tutto il viaggio in un vagone ferroviario insieme ad altri ebrei tra i quali il pittore Gino Parin e ad Auschwitz giunse che era già morta.

Il destino di questa scrittrice appare singolare: ottenne ancora giovanissima un successo di critica sia in Italia che all’estero per la sua produzione letteraria. Una completa dimenticanza ha invece avvolto successivamente alla sua morte tutta la sua opera. Solo ultimamente abbiamo visto la riedizione in formato elettronico di Il Giunco e un’edizione cartacea di una scelta di suoi racconti.

Fonti:

  • P. Zovatto: Pia Rimini 1938-1945. Cittadella 1978.
  • K. Pizzi: A city in search of an autor. The literary Identity of Trieste. London-New York 2001.
  • R. Curci e G. Ziani: Bianco, rosa e verde. Scrittrici a Trieste fra Ottocento e Novecento. Trieste 1993.
  • P. Zovatto: Mons. Antonio Santin e il razzismo nazifascista a Trieste (1938-1945). Quarto D’Altino, Venezia 1977.
  • E. Collotti: L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945. Milano 1963.
  • R. De Felice: Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. Torino 1972.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Eva ed il paracadute
    Nel libro sono uniti due racconti, Il Frutto e Diario di una madre. Il primo, decisamente notevole, appare come un riuscitissimo saggio di psicologia infantile e adolescenziale, nello svolgersi di una vicenda attraverso gli stati d'animo di una bimba di fronte al divorzio dei genitori.
  • Farsi un’opinione
    A doversi fare un’opinione, in questo romanzo di una scrittrice già nota ed apprezzata, è un marito che, a fronte di un blando tradimento della moglie, oscilla tra le diverse alternative che gli si pongono per salvare apparenze e magari non solo quelle.
  • Il giunco
    Nonostante qualche difetto di costruzione, quello che resta assolutamente intatto, anche a distanza di quasi un secolo, è la capacità dell’autrice di assumere di fronte alle problematiche della donna un atteggiamento di comprensione e solidarietà, anche offrendo punti di vista originali.
  • La spalla alata
    Novelle
    In questo secondo libro di novelle, l'autrice riesce a limare gli “eccessi” di realismo che avevano caratterizzato la prima opera, pur denunciando sempre con forza ed efficacia l’egoismo maschile che spesso prevarica, con mancanza di sensibilità e talvolta con violenza, il desiderio d’amore della donna.
 
autore:
Pia Rimini
ordinamento:
Rimini, Pia
elenco:
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