Dall’incipit del libro:
Di questa licenza, che la Natura si è graziosamente degnata di concederci, nessuna nazione usa così largamente come l’italiana. Anche per cotale rispetto, la nostra è l’unità più varia che ci si possa figurare; per poco che s’andasse più in là, l’unità stessa se ne andrebbe a spasso.
È un bene? è un male? C’è il suo bene e il suo male di sicuro; se più dell’uno o dell’altro, giudichi ciascuno da sè; non voglio cominciare a esprimere un giudizio, che, qualunque poi fosse, mi metterebbe subito in disaccordo con una metà dei lettori.
Le cause sono, come sempre, assai complesse; fisiologiche e storiche le principali. Il linguaggio latino, propagato dalla maravigliosa espansione romana, s’incontrava con una moltiplicità di favelle indigene, e per conseguenza di abitudini e di attitudini glottiche. Delle prime trionfò completamente; a quest’altre invece, che lo osteggiavano sordamente ed inconscie, dovette piegarsi. La lingua di Roma suonò dunque dappertutto, ma con pronunzie svariate; come suona diverso l’italiano sopra labbra, piemontesi, venete, lombarde, napoletane, e così via.

