Marguerite Eymery nacque l’11 febbraio 1860 a Château-l’Évêque a sette km dal centro di Périgord, dipartimento della Dordogna, regione della Nuova Aquitania, da Joseph e Gabrielle Feytaud. Marguerite nacque con una gamba più corta dell’altra, il che le procurò una leggera zoppia che fin dai primi passi la fece sentire diversa dai suoi coetanei. Figlia unica e, sembra poco gradita – il padre, che era militare di carriera, ufficiale dell’Armée d’Afrique ormai ritiratosi nelle sue terre, non nascose mai che avrebbe voluto un figlio maschio – crebbe nella tenuta di Le Cros. Tra i suoi antenati sembra ci sia stato un grande inquisitore e persino un lupo mannaro. La mancanza affettiva nell’infanzia fu certamente per lei pesante; riceveva dai genitori meno affetto e attenzioni persino rispetto alla scimmietta domestica della famiglia, alla quale era concesso un posto a tavola anche in occasioni “sociali”.
Ricevette un po’ di affetto dalla nonna materna, ma la madre instillò nella bambina l’idea che la nonna fosse una persona frivola e sempliciotta. Tuttavia, furono la nonna e il nonno a incoraggiare l’immaginazione di Marguerite attraverso il gioco e la lettura, e, per mezzo di questi strumenti, la possibilità di una fuga verso il fantastico. L’attività militare del padre lo portava a lunghe assenze e a peregrinazioni famigliari, oltre a generare occasioni di tensione. Joseph Eymery nel 1867 subì una condanna di quattro mesi in seguito a un duello e poi fu prigioniero dei prussiani dal 1870 al 1871, catturato come soldato nemico dopo aver consegnato loro la sua unità. Il padre si era reso tuttavia già responsabile di abusi verso la figlioletta, oltre che sulla madre, sia di natura fisica che psicologica. Il periodo di separazione dal padre approfondì il solco che separava la giovanissima Marguerite dai genitori.
A dodici anni, Marguerite iniziò a scrivere pezzi anonimi sul giornale locale. Il padre considerò subito completamente inappropriato e scandaloso che una ragazza di classe medio-borghese si dedicasse alla scrittura e osteggiò subito la vocazione letteraria della figlia. Marguerite iniziò a scrivere su commissione a quindici anni, assumendo per la prima volta il nome Rachilde e asserendo che i suoi scritti provenivano da un nobiluomo medievale svedese, evocato nel corso di una seduta spiritica, che così si chiamava e che le dettava le proprie avventure. Probabilmente tutto questo serviva per ottenere le grazie dalla madre che era fervente seguace dello spiritismo e ispiratrice e promotrice di sedute spiritiche. Da giovane donna coraggiosa con una passione per la scrittura, scrisse al suo idolo Victor Hugo e ricevette in risposta parole incoraggianti. Ciò alimentò in lei il desiderio di trasferirsi a Parigi e di diventare parte della cultura letteraria locale. Suo padre non capì le esigenze della figlia e pare che a metà degli anni ’70 dell’Ottocento cercasse di organizzare un fidanzamento allo scopo di distoglierla dalle attività letterarie. Ma Marguerite rifiutò quel fidanzamento. È probabile che il tentativo di suicidio, tramite un tuffo in uno stagno, avvenuto in quel periodo, del quale lei stessa riferisce, fosse in relazione a queste pressioni paterne per un fidanzamento non desiderato.
Tra il 1878 e il 1881, Marguerite si trasferì a Parigi, spalleggiata in questa sua decisione dalla madre e usufruendo dei soldi che suo padre aveva ottenuto vendendo i suoi cani da caccia. “Marguerite” venne definitivamente messa da parte e “Rachilde” si spostò con decisione in primo piano in ogni modo possibile. Libera di esplorare la propria identità e di sfidare sia se stessa che il mondo, si tagliò i capelli corti, uscì in pubblico con abiti maschili (da tener presente che la cosa era espressamente vietata per legge in Francia a quell’epoca) e sconvolse intenzionalmente la società convenzionale e perbenista che la circondava con atteggiamenti tali da non più nascondere quella che appariva sempre più “ambiguità di genere”. Sua cugina Marie de Saverny l’aveva presentata alla famosa attrice Sarah Bernhardt, nota per la sua vita sessuale libera e la sua volontà di ricostruire la propria identità. Bernhardt non esitò a mobilitare le proprie conoscenze per assicurarsi che la carriera di Rachilde potesse partire con il piede giusto. Rachilde iniziò a tenere un salotto nel suo appartamento ogni martedì e questo divenne rapidamente un luogo di ritrovo per giovani scrittori non conformisti e per i loro sostenitori, ponendola al centro dell’attività dei movimenti simbolisti e decadenti.
Nel 1884 pubblicò il suo primo romanzo di successo, Monsieur Vénus. Il romanzo, che affrontava i temi dell’inversione del sesso e del ruolo, fu così scandaloso che l’autrice fu processata per pornografia e condannata a due anni di prigione in contumacia e 2000 franchi di ammenda in Belgio, dove erano state pubblicate e immediatamente sequestrate le edizioni iniziali. La condanna non fu mai eseguita in quanto Rachilde rimase in Francia dopo quanto accaduto. Tra i numerosi capi d’accusa figurava anche quello di aver inventato un vizio nuovo. Lei non replicò mai alle accuse, lo fece Paul Verlaine asserendo: «L’inventore di un vizio nuovo sarebbe il benefattore di una nuova umanità. Stia tranquilla, mia cara, non ha inventato niente». Oggi la portata provocatoria del romanzo è certamente attenuata, ma resta un formidabile racconto di seduzione, travestimento, spietatezza, teso a rovesciare i luoghi comuni del romanzo tradizionale di fine Ottocento. L’amore tra una giovane donna di carattere virile e un ragazzo di androginica bellezza è narrato con finezza e analisi profonda dei sentimenti.
In italiano alla scadenza dei diritti d’autore per Rachilde (2024) sono comparse due nuove traduzioni dopo quella degli anni ’20 e quella, ottima, di Alix Turolla Tardieu negli anni ’80 del secolo scorso pubblicata prima dalle Edizioni delle donne e poi da Editori Riuniti. Il romanzo è dedicato a Léo d’Orfer, poeta simbolista e letterato, con il quale Rachilde aveva avuto probabilmente una fugace relazione. Una passione insoddisfatta ebbe invece per il poeta Catulle Mendès. Nonostante Rachilde abbia negato in seguito di provare attrazione per le donne, certamente ebbe una relazione con la scultrice e scrittrice Gisèle d’Estoc, all’epoca molto nota oltre che per l’attività artistica, per essere dichiaratamente bisessuale e per praticare il travestitismo, indossava cioè anch’ella abiti maschili.
Rachilde incontrò Alfred Vallette nel 1885 e si sposarono nel 1889, nonostante Alfred fosse sconcertato e disapprovasse la scrittura della moglie e il suo comportamento pubblico talvolta scioccante e sempre provocatorio. Dopo il matrimonio, si fece ricrescere i capelli e adottò e curò un’immagine di sé in pubblico decisamente più sobria, ma la sua esperienza matrimoniale non era comunque tipica per una donna del suo tempo. Pochi mesi dopo il loro matrimonio civile, nacque la loro unica figlia. Rachilde chiamò la loro figlia Gabrielle come la madre da cui era separata ormai da tempo. Secondo la maggior parte dei biografi che si sono occupati di Rachilde, non le piaceva la maternità e trascurava la figlia mettendo in primo piano la scrittura e il sostegno ad altri scrittori.
Nel 1890 Vallette fondò e lanciò la rivista d’avanguardia “Mercure de France” e la corrispondente casa editrice. Il “Mercure de France” fu certamente la rivista d’avanguardia di arti e letteratura più influente dell’epoca. Rachilde assunse il ruolo di critica letteraria della rivista e di consulente creativa del marito. In questa nuova veste, non solo ebbe modo di pubblicare il proprio materiale, ma aiutò anche a selezionare e perfezionare il lavoro degli altri e a esprimere le proprie opinioni in un modo che avrebbe contribuito a definire e consolidare la letteratura francese di fine secolo con le caratteristiche che le erano più congeniali. Rachilde iniziò a tenere il suo salotto del martedì negli uffici del Mercure.
Era molto orgogliosa delle celebrità che vi partecipavano, un gruppo che includeva non solo la consolidata cerchia ristretta di scrittori simbolisti, ma anche altre note figure della controcultura come Alfred Jarry, Oscar Wilde, i pittori Toulouse-Lautrec e Gauguin, il compositore Maurice Ravel e molti altri. Oltre alla poesia e alla prosa, uno degli obiettivi dichiarati del “Mercure de France” era quello di incoraggiare lo sviluppo del teatro simbolista. Rachilde fu particolarmente coinvolta nel lavoro con Paul Fort e il suo Théâtre d’Art. Compose per quel teatro due suoi drammi: La Voix du sang (10 novembre 1890) e Madame la Mort (20 marzo 1891). Scrisse, a proposito di queste rappresentazioni, Willy, il bizzarro primo marito di Colette (vedi in questa biblioteca Manuzio):
«Prendo nota del crudele disappunto di alcuni amici molto viziosi che frequento, per amore del contrasto; questi signori si immaginavano che La Voix du sang dovesse essere spaventosamente scabrosa, scritta dall’autore di Monsieur Vénus, della Marquise de Sade e di quel romanzo dal titolo, come dire? dal titolo così allettante: Mimi. Ah! signora, quanta gente ha deluso!»
Dal 1884, anno di pubblicazione del suo primo romanzo, le pubblicazioni si succedono a ritmo sempre sostenuto. Alla fine i romanzi pubblicati da Rachilde saranno una quarantina.
Perseguendo il suo desiderio di sostenere il teatro simbolista, ma sentendosi anche ispirata a incoraggiare la produzione di opere teatrali di autori francesi, si impegnò a sostenere il Théâtre de l’Œuvre. Il suo dramma The Crystal Spider (1894) sarebbe stato infine prodotto lì, stabilendo un modello raffinato per il teatro simbolista.
Le amicizie di Rachilde furono spesso minate dall’oscillazione dei suoi amici, prevalentemente maschi, tra sentimenti di ammirazione, desiderio o compatimento; questo contraddittorio e complesso rapporto fu esemplificato da Maurice Barrès nella sua prefazione a un’edizione successiva di Monsieur Vénus. Il suo amico, forse il più stretto, il poeta Jean Lorrain parlava di lei e delle sue amiche come di pervertite nevrotiche e dipendenti dal sesso; Rachilde ribatteva che anche lui e gli altri suoi amici maschi erano nevrotici, solo in un modo più equilibrato. Il ritratto di Rachilde scritto da Jean Lorrain era stato pubblicato sul “Courrier Français” nel 1884 e la cosa aveva determinato l’inizio della loro amicizia. D’altra parte Jean Lorrain fu senza dubbio uno dei personaggi più scandalosamente appariscenti della Belle Epoque in Francia. Tuttavia Rachilde non esitava quando ne vedeva le ragioni a mettersi in gioco per i suoi amici, ad esempio quando mobilitò le sue conoscenze per poter garantire le cure ospedaliere per Paul Verlaine.
È fatto meno approfondito, ma certamente Rachilde sviluppò anche importanti relazioni con le donne. Nonostante avesse preso in giro le donne bas-bleu – cioè con pretese letterarie artefatte e avvolte in un’aura di inutile saccenza – nella sua prefazione a À Mort! (1886), strinse una relazione complessa con le scrittrici Camille Delaville e Georges de Peyrebrune, quest’ultima una delle scrittrici più popolari e lette in Francia in quel periodo. Queste donne erano per Rachilde amiche e sostenitrici, ma anche critiche, spesso con un atteggiamento schietto e materno. Rachilde fece anche amicizia con Léonide Leblanc, sostenendola pubblicamente perché gli sforzi dell’ex attrice di varietà per accedere legittimamente nel mondo del teatro drammatico potessero avere successo. Fu una delle prime amiche e sostenitrici della collega scrittrice Colette e della scrittrice statunitense Natalie Clifford Barney che dal 1899 viveva in Francia dichiarandosi apertamente lesbica, femminista sostenitrice del paganesimo, pacifismo e libero amore. Rachilde stessa scrisse più volte a sostegno dell’amore omosessuale. Dopo la prima guerra mondiale ebbe un avvicinamento al movimento futurista collaborando anche con Marinetti.
Rachilde rimase socialmente attiva per gran parte della propria vita, comparendo in pubblico con giovani amici maschi anche quando aveva ormai più di sessant’anni e settant’anni. Naturalmente circolavano voci di adulterio licenzioso, ma ella aveva sempre preferito la compagnia di uomini omosessuali, come Barbey d’Aurevilly, Jean Lorrain e Oscar Wilde che nel salotto di Rachilde portava il suo amante Lord Alfred Douglas, o come Maurice Barrès, che si imponeva in modo travagliato una cultura della moderazione mimetizzando forse in questo modo le sue pulsioni più estreme.
Nel 1928 scrisse Pourquoi je ne suis pas féministe. La lettura di questo testo chiarisce molto bene le sue propensioni e inclinazioni, nonché la sua mentalità. Afferma per esempio:
«Non mi sono mai fidata delle donne da quando sono stata ingannata per la prima volta dall’eterno femminino mimetizzato dalla maschera materna e allo stesso modo non mi fido più di me stessa. Mi sono sempre rammaricata di non essere uomo, non tanto perché io apprezzi l’altra metà dell’umanità ma perché, visto che sono stata costretta dal dovere o dalla mia preferenza a vivere come un uomo, a portare da sola il pesante fardello della vita durante la mia infanzia, sarebbe stato preferibile averne avuto almeno i privilegi e non solo le apparenze.»
Nel 1935, quando Rachilde aveva 75 anni, suo marito Alfred Vallette morì improvvisamente mentre era seduto alla scrivania. Mentre la fase di vita compiutamente bohémien era finita sposandosi con Vallette, la sua presenza sociale attiva finì con la morte del marito. Dopo più di cinquant’anni, i suoi salotti del martedì giunsero al termine. Nel suo appartamento parigino adiacente al “Mercure de France”, Rachilde morì poi all’età di novantatré anni il 4 aprile 1953.
Alfred Jarry, del quale Rachilde scrisse una biografia (Alfred Jarry, ou le Surmâle des Lettres) che è di grande interesse per i ricordi che contiene sui circoli letterari d’avanguardia a cavallo tra XIX e XX secolo, scriveva a proposito del lavoro letterario di Rachilde:
«Il mondo intero, credo, è contenuto nei racconti di Rachilde. Contiamo: un cane, preti, ombre, un imperatore, un dio, la luna, la peste, rose, sangue, rane, specchi, un castello, un ebreo, una montagna, un maledetto, del vino, Sodoma, una prostituta, un fantasma, una pantera, sole e amore. È una specie di danza macabra…»
Fonti:
- D. Holmes, Rachilde. Decadence, Gender and the Woman Writer. Oxford-New York, 2001.
- C. Chabaud, Rachilde, homme de lettres. Roman. Éditions Écriture [s.l.], 2022.
- G. Bompiani, Introduzione a Monsieur Vénus. Roma, 1994.
- M. Barrès, Complication d’amour, préface de la réédition de Monsieur Vénus, Brossier, 1889.
- C. Dauphiné, Rachilde, Mercure de France, 1991.
- Rachilde, Pourquoi je ne suis pas féministe, Éditions de France, 1928.
- M. Finn, Rachilde. Une décadente dans un réseau de bas-bleus, in Les Réseaux de femmes de lettres au XIXe siècle, Margot Irvine, 2008.
- Wikipedia
https://en.wikipedia.org/wiki/Rachilde - M. C. Hawthorne, Rachilde and French Womens Authorship From Decadence to Modernism. University of Nebraska Press, 2001.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- L’animale
Romanzo
Il libro fu presentato, alla sua pubblicazione sul finire dell’Ottocento, con una patina di rivestimento propagandistico pseudo-popolare: «è la storia di una cercatrice d’amore le cui viscere presentano certe affinità con quelle degli animali. Soffre di una certa nevrosi che la spinge a correre di notte sui tetti insieme ai gatti.»