Dall’incipit del libro:
Carissimo quanto patre.
Io ho recuta una vostra letera per la quale ho inteso la morte del nostro illustrissimo signor duca, a la quale Dio abi misericordia a l’anima, e certo non podde senza lacrime lègere la vostra letera; ma transiat: a quello [che] non è riparo bisognia avere pazienzia e acordarsi con la volontà de Dio. Io scrissi l’altro dì al zio prete che me mandasse una tavoleta, che era la coperta de la Nostra Donna de la prefetessa; non me l’ha mandata: ve prego voi [che] li faciate assapere, quando c’è persona che venga, [che] io possa satisfare a madona, ché sap[r]ete adesso [come] uno averà bisognio di loro. Ancora vi prego, carissimo zeo, che voi vo[g]liate dire al prete e a la Santa che, venendo là Tadeo Tadei fiorentino, [del] quale n’avemo ragionate più volte insiemo, li facine onore senza asparagnio nisuno, e voi ancora li farite careze per mio amore, ché certo li so ubligatissimo quanto che uomo che viva. Per la tavola, non ho fatto pregio e non lo farò, se io po[t]rò, perché el serà meglio per me che la vada a stima, e imperò non ne ho scritto quello che io non pos[s]eva, e ancora non ve ne posso dare aviso; pur, secondo [che] me ha ditto el patrone de ditta tavola, dice che me darà da fare per circa a trecenti ducati d’oro per qui e in Francia. Fat[t]o le feste, forsi ve scrivirò quello che la tavola monta, ché io ho finito el cartone, e – fat[t]o Pasqua – serimo a ciò.


