Remigio Roccella, terzogenito di Rosario e Vincenza Cammarata, nacque nel 1829 a Piazza Armerina. Appassionato musicofilo, terminati gli studi liceali si recò a Palermo per perfezionarsi nel violino, ma presto si rese conto che la professione di musicista gli avrebbe riservato un incerto avvenire, e si mise a studiare il diritto amministrativo da alacre ed eclettico autodidatta quale era. Vinto il concorso a un posto nella segreteria comunale della sua città, fu presto nominato cancelliere archiviario, e a ventotto anni, nel 1857, si dedicò con sistematica costanza allo studio delle materie giuridiche, conseguendo due anni dopo la licenza in diritto nell’università di Catania e intraprendendo poi la professione notarile.
Come componente del comitato rivoluzionario promotore delle agitazioni per l’unità d’Italia, nel 1860 fu tra i sorvegliati speciali dalla polizia borbonica assieme al fratello Alceste e a numerosi altri concittadini, e a unificazione compiuta divenne nell’anno seguente segretario del proprio comune. Qui si distinse anche in gestioni filantropiche e benefiche, oltre che nella direzione del locale Monte di Pietà; più volte eletto consigliere comunale e provinciale, fu sindaco di Piazza Armerina dal 1876 al 1879, amministrandola con sagace equilibrio.
Alle incombenze professionali e civiche alternò una solerte attività investigativa sulle testimonianze etnografiche siciliane, ma segnatamente nell’ambito territoriale della città d’origine e con particolare attenzione alla poesia vernacolare, collaborando validamente con Lionardo Vigo (1799-1879) e Giuseppe Pitré (1841-1916), studiosi di spicco delle tradizioni popolari e folkloristiche siciliane. Fu egli stesso un fecondo e apprezzato poeta dialettale, e lo si legge con gusto nei due volumi di Poesie in lingua vernacola Piazzese (1872), integrati cinque anni dopo con le Poesie e prose nella lingua parlata Piazzese, e completati con le Nuove Poesie in vernacolo piazzese (1894). Oggi però il suo nome è soprattutto legato al Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina, edito a Caltagirone nel 1875, che nel vastissimo panorama della lessicologia dialettale appartiene al folto filone amatoriale di quei ben motivati cultori locali che, per le competenze lessicografiche acquisite nei luoghi dove in genere sono nati, possiedono cognizioni non di rado più complete di quelle raggiungibili dai dialettologi professionisti. Questa produzione dizionaristica, principiata nella metà del Settecento e tuttora proliferante, nel secolo successivo sviluppò un’ampia fioritura di testi concepiti con l’ambizione di poter contribuire in qualche modo a introdurre alla lingua italiana coloro che erano solo dialettofoni, e che all’indomani dell’unificazione nazionale rasentavano il 90% della popolazione: i destinatari erano dunque individuati nelle persone del ceto meno abbiente e incolte, motivo per cui più raramente si compilarono vocabolari bivalenti e le note grammaticali e stilistiche vi vennero ridotte al minimo, ritenendosi che l’avviamento all’idioma comune dovesse principiare da una corretta assimilazione delle parole.
Nella realtà delle cose, però, e in un’Italia con un altissimo tasso di analfabetismo destinato a persistere nel tempo, inevitabilmente i soli effettivi fruitori dei vocabolari dialettali ottocenteschi rimasero a lungo le persone istruite e gli appartenenti alle classi agiate nelle quali rientravano gli stessi lessicografi, che del dialetto si servivano nella quotidiana pratica colloquiale anche in ambito familiare, e lo consideravano una manifestazione culturale di cui era utile approfondire e preservare la conoscenza. Costoro segnarono perciò una tappa importante nelle vicende della linguistica dialettale, sia per l’impegno profuso nel censire e raccogliere i vocaboli, sia per i tentativi di classificare e rendere graficamente comprensibili le loro trascrizioni fonetiche mediante il ricorso a sistemi di scrittura personali e differenziati, ma non privi di spunti interessanti, prima che sul finire del secolo cominciasse ad affermarsi una codificazione standardizzata e universalmente condivisa.
Fu in questa cornice che nacque il Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina, che quando apparve si segnalò per due significative novità tematiche: la prima fu quella di proporre un dizionario di parole pertinenti a una singola località, e non a un’intera regione secondo l’indirizzo di allora; e l’altra fu quella di prendere in esame un idioma di fatto estraneo al retaggio siciliano, che la linguistica attuale denomina “dialetto galloitalico di Sicilia”. Più che di un dialetto vero e proprio, si tratta di un gergo parlato in alcune “enclaves” nel territorio centrale e orientale dell’isola, nel quale prevalgono forme tuttora diffuse nei dialetti dell’Italia nord-occidentale. Tali presenze, che per la loro originaria estraneità al contesto regionale sono definite “isole alloglotte”, si formarono nel periodo in cui la Sicilia fu occupata dai Normanni, che su iniziativa di alcune potenti famiglie e in particolare degli Altavilla, incentivarono una politica d’immigrazione di genti d’area francese (in primo luogo, quindi, normanni e provenzali) e del nord Italia (prevalentemente piemontesi e liguri), inducendole a traslocare in Sicilia mediante la concessione di terre e di privilegi. La migrazione, che coprì un arco temporale esteso dalla fine dell’XI fino a tutto il XIII secolo, in Italia riguardò essenzialmente l’intera area del Monferrato in Piemonte e una parte dell’entroterra ligure di ponente, assieme a limitate frange occidentali della Lombardia e dell’Emilia attuali. Giunti nell’isola, i nuovi coloni riuscirono a mantenere a lungo gli idiomi d’origine, peraltro lentamente ma gradualmente erosi dalla contiguità con i dialetti siciliani, dalla penetrazione sempre più capillare della lingua italiana, e dai modi di esprimersi introdotti dai mass-media. Oggi il galloitalico è circoscritto a poche comunità sparse tra le province di Enna e Messina.
Preceduto da un sommario storico e da una breve introduzione grammaticale e ortografica, il vocabolario comprende non meno di 12000 voci delle quali fornisce pronuncia e significato, senza contare le frequenti espressioni idiomatiche. Nulla sappiamo sulle modalità del loro censimento in un’epoca nella quale era raro condurre inchieste sul terreno, né del resto l’autore lasciò arguire qualcosa nella succinta premessa del libro; ma accanto alle tante parole desunte dall’uso abituale, molte altre certamente egli le apprese dai contatti d’ogni giorno con la gente del posto nell’esercizio dei suoi doveri d’ufficio, e attraverso la redazione di embrionali tavole comparative fu tra i primissimi a sottolineare la stretta somiglianza di non pochi vocaboli con i corrispondenti termini esibiti dai dialetti liguri-piemontesi, pur nei limiti di uno stato conoscitivo non ancora scientificamente perfezionato. Anche per aver registrato una quantità di voci relative a usi, costumi e mestieri poi divenute desuete o scomparse specialmente nella sfera agricola e contadina, a distanza di un secolo e mezzo dal suo apparire il Vocabolario continua a essere una preziosa e importante fonte storica per lo studio di questo linguaggio, e non sorprende che nel 1970 abbia avuto una ristampa anastatica: sorte che non sempre capita alle opere di pionieristico pregio.
Remigio Roccella si spense il 30 gennaio del 1916 nella sua città, che gli ha intitolato una strada e condedicato la biblioteca comunale, da lui fondata assieme al fratello Alceste, noto studioso della storia di Piazza.
Bibliografia:
Le poche notizie rintracciabili su Remigio Roccella sono state raccolte e commentate nel 2018 da G. Masuzzo su www.cronarmerina.it. I numerosi interessi sull’idioma galloitalico sono sfociati in studi di carattere specialistico che richiedono un’adeguata preparazione filologica; chi ne è sprovvisto potrà consultare la bene informata voce “Dialetti galloitalici di Sicilia” in Wikipedia, utilmente integrabile su You Tube digitando “galloitalico di Sicilia” e collegandosi a siti che propongono vari esempi del dialetto parlato; a chi invece possiede competenze linguistiche e glottologiche più approfondite si rivolge il libro Migrazioni interne: i dialetti galloitalici della Sicilia, Padova 1994, che raccoglie gli Atti del XVII Convegno di studi dialettali italiani (Nicosia – Sperlinga 14-17 settembre 1987), dove si può constatare il perdurante utilizzo del Vocabolario. Sui dizionari dialettali e il loro evolversi nel tempo è esauriente l’ampio articolo di M. Cini – R. Regis, La lessicologia dialettale, in L’Italia e le sue regioni. L’età repubblicana. Culture, Roma 2015, pp. 591-606 (anche in Internet: https://www.treccani.it/enciclopedia/la-lessicologia-dialettale_(L‘Italia-e-le-sue-Regioni)/). Tutti i predetti contributi sono stati attinti per la redazione della presente nota.
Note biografiche a cura di Giovanni Mennella
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina, Sicilia
Preceduto da un sommario storico e da una breve introduzione grammaticale e ortografica, è sull’argomento un lavoro pionieristico e una preziosa fonte conoscitiva che continua a essere citata anche per averci tramandato una ricca nomenclatura relativa a usi, costumi e mestieri ormai da tempo scomparsi.