Carlo SforzaCarlo Sforza nacque a Montignoso, provincia di Massa-Carrara il 23 settembre 1872. La famiglia paterna apparteneva alla nobile casata degli Sforza di Castel San Giovanni. Il padre Giovanni era archivista e studioso di storia e certamente non fu estraneo ai precoci interessi del figlio per i problemi storici e politici. La sua istruzione fu raffinata e di prim’ordine fin dall’inizio dei suoi studi conducendolo alla laurea in legge all’università di Pisa.

Iniziò nel 1896 la carriera diplomatica vincendo il concorso di applicato consolare e fu inviato al Cairo e successivamente a Parigi come addetto di delegazione. Fu segretario consolare a Costantinopoli e poi a Pechino. Nella seconda metà del 1905 fu incaricato d’affari a Bucarest dove incorse però in un incidente diplomatico che lo portò a rassegnare le dimissioni. Nonostante questo fu assegnato al posto di segretario particolare di Emilio Visconti Venosta alla conferenza di Algeciras. Grazie all’apprezzamento di Visconti Venosta riprese la carriera diplomatica a Madrid e nuovamente a Costantinopoli.

Il 4 marzo 1911, a Vienna, Carlo Sforza sposò la belga Valentine Errembault de Dudzeele dalla quale ebbe due figli. Divenne nel 1910 capo gabinetto del ministro degli esteri Antonino di San Giuliano. Dal 1911 al 1915 fu ministro plenipotenziario in Cina dove fu testimone degli storici cambiamenti che avvennero in questa regione in quegli anni e dove ottenne che la concessione italiana di Tientsin fosse trasformata in regime capitolare. Fu poi rappresentante italiano, dal 1915 al 1918, presso il governo serbo in esilio a Corfù, nonostante le divergenze col ministro degli esteri Sidney Sonnino sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei croati.

Alto commissario per l’Italia in Turchia alla fine della prima guerra mondiale, il 13 giugno 1919 fu nominato dal presidente Nitti sottosegretario agli esteri, a fianco prima di Tittoni, poi di Scialoja. Ormai affermato come diplomatico cresciuto sui principi della prudenza e riservatezza di Visconti Venosta e di San Giuliano, si era dimostrato capace di unire queste caratteristiche a quelle di una politica che fosse in grado di superare le grettezze e le asperità della visuale nazionalistica: poté esprimere queste caratteristiche al meglio con la politica da lui svolta come ministro degli esteri nel gabinetto Giolitti (1920-21) in una fase resa molto difficile dalle polemiche sui confini orientali fra le destre nazionalistiche e le sinistre moderate o internazionalistiche.

Sforza diresse nel novembre 1920 i negoziati con la Jugoslavia per il trattato di Rapallo, che fu il compromesso possibile tra una equilibrata linea di difesa degli interessi territoriali dell’Italia e le esigenze di pacifica collaborazione fra gli stati.

Già senatore dall’agosto 1919 e cavaliere dell’Annunziata dal 1921, andò nel 1922 come ambasciatore a Parigi, ma preferì dimettersi dalla carica piuttosto che obbedire al governo fascista. Oppositore del fascismo dai banchi del Senato, fu tra i promotori dell’Unione nazionale di Giovanni Amendola. Nel 1927 si decise a lasciare l’Italia iniziando un lungo esilio.

Fu dapprima in Francia, poi successivamente in Belgio, in Inghilterra, negli Stati Uniti; lavorò intensamente con scritti e conferenze alla battaglia contro la dittatura e non esitò a condannare anche l’atteggiamento dei dirigenti conservatori franco-inglesi che sostenevano il fascismo.

Tra i saggi da lui pubblicati in questo periodo sono importanti: Il trattato di Rapallo al Parlamento italiano (1921); Un anno di politica estera (1921); Pensiero e azione d’una politica estera italiana (1924); Diplomatic Europe after the Treaty of Versailles (1929); European Dictatorships (1930); L’âme italienne (1933); Europe and Europeans (1936); Machiavelli (1940); Dictateurs et dictatures (1941); Illusions et réalités de l’Europe (1942); Contemporary Italy (1942); Italians as They are (1943).

Nell’approfondire lo studio degli aspetti negativi del concetto e della pratica della sovranità nazionale, la lettura del Mazzini (pubblicò nel 1924 Le più belle pagine di Mazzini) lo spinse via via a farsi assertore sempre più convinto dell’europeismo, concepito soprattutto come cooperazione e reciproca interdipendenza fra le nazioni del vecchio continente, considerate naturali interpreti della tradizione civile dell’Occidente. Durante la seconda guerra mondiale queste sue idee lo spinsero a farsi promotore e animatore, in America, della Mazzini Society e del movimento Italia libera; fu peraltro critico verso gli aspetti più conservatori della politica anglo-americana.

Convintosi delle gravi responsabilità assunte dalla monarchia sabauda con l’avallo al regime fascista, animò, appena tornato in Italia (1943), la polemica sull’abdicazione di Vittorio Emanuele III battendosi perché questa avvenisse immediatamente. Fu ministro senza portafoglio – in seguito alla posizione togliattiana favorevole alla collaborazione con il governo regio – nel governo Badoglio di coalizione nazionale (aprile-giugno 1944) e dopo la liberazione di Roma nei due gabinetti Bonomi dal luglio 1944 al giugno 1945 e divenne alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. Il veto di Churchill gli impedì di assumere il ministero degli esteri nel 1944-45 nel governo Parri e la presidenza del consiglio, in luogo di Bonomi, nel dicembre 1944. Dopo essere stato presidente della consulta nazionale fu deputato alla Costituente nelle file repubblicane nel 1946 e senatore dal 1948. Tenne poi ininterrottamente dal 1947 al 1951, nel terzo, quarto e quinto governo De Gasperi, il dicastero degli esteri.

La sua politica, com’egli stesso scrisse, era tesa a inserire l’Italia nella comunità europea occidentale in accordo con un rigido allineamento alla politica degli Stati Uniti e a una netta rottura verso l’Unione Sovietica. Di qui l’opera per la ratifica del trattato di pace, l’approvazione e l’applicazione del piano Marshall; di qui i progetti di unione doganale franco-italiana, l’inserimento nel patto atlantico e la polemica anticomunista su scala internazionale. Candidato di De Gasperi nel 1948 alla presidenza della Repubblica, fu fedele collaboratore del leader democristiano fino alla morte rimanendo come ministro senza portafoglio dal 1951, ormai colpito dalla malattia che l’avrebbe condotto a morte, in poi.

Fra i suoi scritti memorialistici e programmatici, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi (1944); Costruttori e distruttori (1945); Panorama europeo (1945); Jugoslavia (1948); O federazione europea o nuove guerre (1948); Cinque anni a Palazzo Chigi (1952).

Morì a Roma il 4 settembre 1952.

Fonti:

  • R. Zeno, Ritratto di Carlo Sforza, Firenze 1975.
  • G. Quazza, Voce Sforza, Carlo in GDE, Torino, 1990.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • O federazione europea o nuove guerre
    Questo testo raduna brevi saggi e discorsi che Sforza scrisse nell’arco di quasi trent’anni, fino al 1948. In essi si individua il percorso che Sforza seguì nello sviluppo coerente del proprio pensiero e della propria azione in vista di un principio di intesa tra le nazioni europee – secondo un’idea di “interdipendenza” piuttosto che di “indipendenza” – che potesse, nella sua logica, essere di freno a nuovi conflitti.
 
autore:
Carlo Sforza
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Sforza, Carlo
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