Traduzione di Vittorio Alfieri.
Dall’incipit del libro:
I. Agli uomini, che ambiscono esser da più degli altri animali, conviene con intenso volere sforzarsi di viver chiari; e non come bruti, cui natura a terra inchinò, ed al ventre fè servi. Anima e corpo siam noi: a quella il comandare si aspetta, a questo il servire. Coi Numi l’una, colle bestie l’altro accomunaci. Parmi perciò, che desiare si debba assai più la gloria con l’ingegno acquistata, che non colla forza; e che, di una breve vita godendo, lunghissima lasciare si debba di noi la memoria. Beltà e ricchezze son fragile e passeggiera gloria: la virtù è illustre ed eterna. Grande pure ed antica contesa fra gli uomini ell’è se al guerreggiare più giovi la robustezza del corpo, o dell’animo; dovendosi prima il consiglio, e immediatamente poscia la mano adoprare. Ma, ciascuna di queste doti per sè non bastando, l’una dell’altra abbisogna.
II. Quindi i primi Re, (che così la più antica signoría nominossi) altri l’ingegno, altri la forza adopravano: vivendo allor gli uomini senza cupidigia, contento ciascuno del suo. Ma dacchè Ciro nell’Asia, gli Spartani ed Ateniesi fra i Greci, cominciarono a soggiogare città e nazioni, a ritrarre cagioni di guerra dall’ambizione d’impero, ed a riporre nel massimo dominio la massima gloria; i pericoli e le vicende mostrarono che più del brando poteva in guerra la mente.

