Dall’incipit del libro:
Scrivo molto volentieri qualche pagina intorno a quest’opuscolo, che ha la data del 1890 e può dirsi del tutto dimenticato (se pur mai al suo tempo destò una qualsiasi attenzione), perchè la lettura di esso ha toccato due corde molto sensibili della mia anima: quella che vibra al ricordo delle immagini del passato, e quella che scatta vivace sempre che le si presenti un rapporto d’idee da cogliere o da schiarire.
Giuseppe Sarno fu un avvocato napoletano, appassionato di filosofia hegeliana, hegeliano di destra come discepolo nell’Università napoletana di Augusto Vera, e nondimeno, in politica, estremo tra gli estremi, anarchico. Ma era di cuore buono, onesto, generoso, legato di amicizia e di ossequio a personaggi delle più diverse fedi, rispettando sempre nell’uomo l’uomo di merito, quale che fossero i suoi concetti e il suo partito. Anche in questo opuscolo la dedica è al suo maestro di diritto penale, Enrico Pessina, senatore e tutt’altro che arrischiato in politica, che lo aveva difeso quando fu accusato come anarchico; e poi vi si legge una deferente discussione con l’antihegeliano e temperatissimo repubblicano Giovanni Bovio; e, nel corso della trattazione, si ricorre alla suprema autorità del Vera: in un altro suo scritto con pari stima ed ossequio lo si ode disputare con l’economista e autonomista meridionale Giacomo Savarese, che non ammise mai l’unità d’Italia, per la quale il Sarno aveva preso le armi nel 1860 e nel 1866. Così si viveva nella Napoli della mia giovinezza, quando osservavo nell’Università Antonio Tari, l’agnostico filosofo dell’Innominabile, vibrante d’impeti giovanili per le plebi oppresse, trattenersi in cordiale compagnia con l’umanista e poeta latino abate Perrone, e consimili affratellamenti coi quali venivano sempre collocati in disparte e in alto il carattere morale e il valore intellettuale, dovunque si trovasse, e gli uomini degni venivano da tutti riconosciuti, riveriti e amati, argomento di orgoglio e di vanto per i loro concittadini.

