Lea Schiavi nacque a Borgosesia, in provincia di Vercelli, il 2 marzo 1907. Sostanzialmente autodidatta si trasferì presto a Torino anche per sfuggire alla mentalità provinciale caratteristica della sua cittadina nativa. Insofferente verso le pratiche e la politica fascista decise di dedicarsi al giornalismo, interpretando questa professione anche come strumento attraverso il quale poter manifestare il proprio dissenso verso un’ideologia che le appariva sempre più opprimente e pervasiva. Divenne redattrice per i giornali “L’Ambrosiano” e “Il tempo”.
Appassionata di moda e propugnatrice dell’eleganza femminile, collaborò attivamente con il mensile “Lidel” che fu una rivista dedicata a un pubblico femminile aristocratico e raffinato e che si faceva promotrice dello sviluppo di una moda italiana indipendente da quella francese. Il periodico era allineato sull’idea di donna che richiedeva il fascismo; Lea Schiavi pubblicò su questo giornale soprattutto delle novelle e bozzetti: Un bimbo che perse la strada, Il Regalo di nonna nel 1932; Notturno in pineta e Antenne d’Italia (bozzetti) nel 1933; Piccolo mondo antico in liquidazione nel 1935.
Negli anni trenta dello scorso secolo pubblicò anche alcuni libri, il più noto dei quali fu Galateo moderno del 1937, che l’anno precedente era stato pubblicato da altra casa editrice con il titolo Saper vivere: galateo di usanze moderne dedicato alle spose e alle madri. Del 1936 è invece la pubblicazione di Piccola enciclopedia di scienze occulte, che fu poi ristampato nel 1950 con il titolo Lo spiritismo davanti alla scienza. Colpita dal film di Frank Lloyd La tragedia del Bounty (basato sul romanzo di Nordhoff e Hall che è disponibile in questa biblioteca Liber Liber) scrisse il romanzo Gli ammutinati del Bounty all’isola di Pitcairn. Aveva anche intrapreso l’attività di traduttrice portando a termine la versione italiana di Il segreto nella perla di Gerard Fairlie, pubblicato nel 1939.
Dopo essersi occupata di cinema e aver frequentato il mondo di Cinecittà, Lea Schiavi sentì sempre più opprimente la cappa ideologica del fascismo divenendo ogni giorno più insofferente. La strada per lasciare l’Italia che riuscì a percorrere fu quella di diventare una corrispondente dall’estero; in questo modo poté non solo allontanarsi dal fascismo ma anche viaggiare, vedere il mondo. Lasciò quindi l’Italia nel 1939 per alcuni reportage nei Balcani alla vigilia della Guerra. Andò in Jugoslavia, in Romania. Ma la penetrazione nazista in Europa procedeva sempre più rapidamente; dopo aver sposato a Sofia, in Bulgaria, il reporter della CBS Winston Burdett, vennero entrambi espulsi prima dalla Romania e poi dalla Jugoslavia dai regimi fascisti. Lea e Winston si rifugiarono prima ad Ankara nel marzo 1941 e poi in Iran; in questa fase l’Iran era occupato da inglesi e sovietici.
All’inizio del 1942 Lea Schiavi iniziò a lavorare come fotografa per il quotidiano newyorkese del pomeriggio“PM” ideato da Ralph Ingersoll e stampato tra il 1940 e il 1948; Lea era certamente in stretto contatto con l’Intelligence Service. Divenne attivista del movimento Libera Italia cercando proseliti negli ambienti dove si trovava a lavorare. Nella primavera del 1942 Winston fu mandato in India per svolgere dei servizi giornalistici, ma Lea volle rimanere ancora qualche settimana in Iran; pochi giorni dopo, il 24 aprile 1942, cadde in un agguato. Mentre era in auto con l’autista e un’amica iraniana attraverso l’Azerbaigian occidentale nei pressi di Miandoap, l’auto venne fermata da un gruppo di amieh, una sorta di guardiani stradali curdi. Dopo aver chiesto ed esaminato i documenti dell’accompagnatrice di Lea Schiavi, signora Aghayan, senza conseguenze, passarono ad esaminare quelli della signora Burdett e dopo un breve conciliabolo le spararono cinque colpi. La morte sopraggiunse dopo un’ora e mezza di agonia. Il cadavere venne trasportato a Tabriz e sepolto dai religiosi del luogo.
Nei primi tre mesi del 1942 Lea Schiavi era stata in India e in Siria. Da alcune lettere di Burdett intercettate dai servizi di controspionaggio emerge che la coppia era probabilmente intenta a ricostruire trame spionistiche in merito alla politica britannica e sovietica in quelle regioni. La permanenza di Lea Schiavi in Iran, Azerbaigian e Kurdistan è però probabilmente finalizzata a ricostruire le rotte di rifornimento di armi da parte degli agenti nazifascisti alle tribù curde. Lauro Laurenti, funzionario dell’ambasciata d’Italia ad Ankara – personaggio peraltro piuttosto ambiguo che nel maggio 1942 venne dapprima arrestato dagli inglesi e poi, avendo collaborato subito rilasciato – interrogato sull’assassinio di Lea Schiavi confermò la versione dell’amica di Lea. Lo stesso Laurenti, secondo quanto poi affermato dal marito Winston Burdett, il quale molto si prodigò per far emergere la verità, avrebbe affermato che il colonnello dei carabinieri Ugo Luca, che raggiunse i livelli più alti nell’ambito del controspionaggio italiano, avrebbe dichiarato più volte di essere responsabile dell’assassinio di Lea Schiavi. Sulla base di queste informazioni Burdett presentò nel 1945 denuncia a Roma, consentendo quindi alla magistratura italiana di inaugurare la futura serie di misteri e delitti di stato irrisolti nell’Italia del dopoguerra. La denuncia venne archiviata senza neppure curarsi di sentire il querelato.
Il primo storico a occuparsi in maniera approfondita dell’assassinio di Lea Schiavi è stato Mimmo Franzinelli nel suo libro Guerra di spie. I servizi segreti fascisti, nazisti e alleati 1939-1943. In questo libro un capitolo interessantissimo è dedicato alla vicenda di Lea Schiavi. C’è da aggiungere che negli anni sessanta del secolo scorso se ne era occupato anche Arrigo Petacco, il quale, ricalcando un articolo di Chiara Falcone apparso precedentemente su “Il Tempo”, affermò che Lea Schiavi sarebbe stata fatta uccidere dagli stessi sovietici per i quali lavorava. Ma sembra proprio che Petacco abbia lavorato sulla base di congetture niente affatto dimostrate arricchite da sue fantasiose supposizioni. Burdett in una sua deposizione alla commissione del Senato degli Stati Uniti per la sicurezza interna affermò con sicurezza che Lea non fu mai comunista e tanto meno legata ai servizi segreti dell’URSS. Nel 1974 lo storico valsesiano Enzo Barbano ebbe un colloquio con Arrigo Petacco il quale ammise con onestà di non avere avuto tempo e modo di approfondire quello che supponeva fosse stato «il segreto di Lea Schiavi». Anche Piera Mazzone recentemente sulla rivista “L’Impegno” scrive che Lea Schiavi «sarebbe entrata in contatto con i servizi segreti russi all’inizio della guerra». Certamente questi contatti li ebbe Winston Burdett negli Stati Uniti prima di partire per l’Europa. Franzinelli sottolinea comunque il fatto che «l’uccisione di una cittadina italiana non ha dunque meritato nemmeno un processo per l’identificazione della mente occulta dietro la mano omicida». Burdett successivamente fece propria la tesi che fa risalire ai sovietici i mandanti dell’assassinio. Bisogna ricordare che Burdett viene oggi ricordato per aver affiancato Ed Murrow, il leggendario anchorman in prima fila nella lotta al maccartismo, e negli anni ’50 era tutto proteso a far dimenticare il suo passato comunista – è del 1955 la sua deposizione al Senato degli stati Uniti nella quale ammise di aver fatto parte del Partito Comunista americano – e questa sua nuova versione ebbe una certa diffusione e credibilità in un momento e in ambienti che erano immersi nelle tematiche della guerra fredda. Ancora una volta quindi i meccanismi di potere si frapponevano come ostacolo per fare chiarezza sull’assassinio di Lea Schiavi.
Come non è facile fare chiarezza sui mandanti dell’assassinio di Lea Schiavi, così non è neppure facile ricostruire le vicende della sua vita privata e familiare. Anche nella sua cittadina natale, Borgosesia, non resta che una traccia nella toponomastica – sull’onda di qualche libro pubblicato e di un conseguente rinnovato interesse sulla sua vicenda l’amministrazione comunale le ha intitolato i giardini pubblici – e qualche sbiadito ricordo nella memoria dei più anziani.
Essendo però stata cittadina americana il suo nome è il primo al Freedom Forum Journalist Memorial di Arlington in Virginia tra quelli delle donne giornaliste cadute in una guerra.
Fonti:
- M. Franzelli, Guerra di spie. I servizi segreti fascisti, nazisti e alleati 1939 – 1943, Milano, 2004.
- M. Novelli, Lea Schiavi. La donna che sapeva troppo, Torino, 2006.
- M. Novelli, Il caso Lea Schiavi. Indagine sull’omicidio di una giornalista antifascista, Torino, 2022.
- C. Ricci, Il caso Lea Schiavi. L’omicidio irrisolto della giornalista che osteggiava il regime. In “Rivista Savej” 1.11.2023
https://rivistasavej.it/lung/2023/il-caso-lea-schiavi - P. Mazzone, Lea Schiavi un enigma valsesiano. In “L’impegno”, n. 1 giugno 2005. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli. 2005.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Gli ammutinati del «Bounty» all’isola di Pitcairn
L’autrice, che da giornalista si interessava di cinema, fu certamente colpita dal film La tragedia del Bounty (regia di Frank Lloyd con Charles Laugthon e Clark Gable) uscito in Italia nel 1937 e ne trasse questo romanzo, che, salvo le imprecisioni storiche, è interessante anche per la presenza del punto di vista delle donne tahitiane. - Lo spiritismo davanti alla scienza
Il breve saggio affronta in maniera sintetica e con piglio giornalistico un argomento che, tra gli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, fu al centro dell’attenzione non solo della pubblica opinione e della credulità popolare ma fu anche oggetto di studio accurato e approfondito da parte di studiosi di varie discipline scientifiche.