Maria Alimonda Serafini nacque a Genova nel giugno del 1835 da Agostino Alimonda (di antica famiglia patrizia di Lavagna) e da Anna Maria Leoni di Pistigliano (Toscana).
Fu educata a una rigida fede cattolica, ma l’accesso alla biblioteca paterna e la viva intelligenza la portarono rapidamente in contrasto con l’austerità religiosa della famiglia: ogni parola che leggeva la allontanava dalla fede alla quale era stata educata. Questo aumentava le sue difficoltà perché i genitori erano ostili alle idee che andava sviluppando e la tenevano lontana da studi normali. Ma il fermento di idee e di lotte che partì dal 1848 (era appena tredicenne) diede nuovo impulso alla sua voglia di indipendenza e alla sua esigenza di svincolarsi dal giogo della “patria potestà”. Soprattutto per questo nel 1851 sposò Lorenzo Serafini, poeta modesto ma di idee molto più aperte e disposto a mantenersi, nel corso di tutta la sua vita, sullo sfondo delle attività preponderanti della moglie.
Prese parte al movimento nazionale per la liberazione d’Italia e diventò per questo amica di Giuseppe Mazzini (con il quale ebbe un ricco epistolario) e di altri patrioti risorgimentali.
Nel 1861 fece parte del comitato per l’emancipazione italiana, a capo del quale era Federico Bellazzi.
Dopo la catastrofe di Aspromonte fu destinata insieme a Carlotta Benettini, genovese, e Raffaella Guerriero, napoletana, a prendersi cura dell’illustre ferito, Giuseppe Garibaldi, e partì quindi per Varignano ove il generale volle trattenerla con sé per oltre quindici giorni.
Su indicazione di Mazzini, in esilio a Londra (la lettera di Mazzini a lei indirizzata del 13 novembre 1862 è di grande interesse storico), si adoperò per la raccolta di denaro, tramite lotterie, sottoscrizioni ed altro, coadiuvata dalla milanese Giulietta Pezzi, finalizzata alla liberazione di Venezia e Roma. Tutto il materiale raccolto finiva a Londra nel “Bazar” per la liberazione di Venezia e Roma ideato e organizzato da Mazzini.
Si adoperò in campo politico e patriottico fino al 1866 rallentata dalla cura della famiglia e da problemi di salute.
Dopo tre anni di studio e riflessione ricomparve alla ribalta nel 1869, dando alle stampe il Catechismo popolare per la libera pensatrice, che sollevò ampia indignazione nei credenti ma apprezzamento da parte di una critica imparziale anche all’estero. Molto interessante l’articolo comparso nel N. 7 del 1870 de “Il libero pensiero” a firma di Angelo Mazzoleni, allora deputato. Poiché una delle conclusioni di questo testo, diviso in due parti e ventiquattro capitoli, è che “in ogni epoca custode e sacerdotessa della libertà che irradia dal lavoro, dalla dignità e dalla famiglia è stata in ogni epoca la donna” e poiché gran parte del senso del suo pensiero è che l’emancipazione femminile passi attraverso il superamento del bigottismo cattolico, dovette sostenere, sempre sulle colonne de “Il libero pensiero” una polemica con Giorgina Saffi (anno 1870 N. 9). Quest’ultima, anch’essa mazziniana, sosteneva che le madri, se prive di fede religiosa, non possono realmente educare i figli. Lo stesso Mazzini criticò aspramente lo scritto di Maria Alimonda ritenendolo troppo materialistico.
Ecco come parla dell’educazione dei figli:
Imbevute [le madri] di principi religiosi e illuminate un poco dal progresso dei tempi, stanno necessariamente finora in una via di mezzo. La ragione che si fa strada nelle loro menti dice loro che devonsi staccare dalle antiche credenze, le consuetudini sociali e la poca convinzione le trascinano alla continuata pratica dell’ascetismo. Tentennanti tra il nuovo e il vecchio esse non possono determinare una linea di condotta morale e loro stesse… come potranno esse determinarla ai propri figli? Esse avrebbero bisogno di una spinta all’abbandono delle vecchie e sdrucite credenze, avrebbero bisogno che loro si mostrasse interamente il bene e il male…. imperocché desse, cui non fu mai permesso di pensare, com’è possibile che possano da sé medesime scuotere l’ipoteca del pregiudizio, la dogana della chiesa? Desse che, povere paria della società, impararono solo ad adornarsi, perché solo mezzo di essere tollerate nel banchetto domestico, desse, che non hanno concetto proprio, come possono pensare sì altamente, e potendolo, poniamo una mano sulla coscienza, la loro condizione ancora serva al marito concederebbe loro il libero esercizio di se stesse? Ma si rialzi la donna, si ponga all’altezza della santa missione educatrice che le affidò la natura, si educhi alla ragione, si emancipi dalla schiavitù; l’uomo cooperi alla redenzione di questa metà dell’uman genere non a parole ma a fatti…. Cessi essa di esser cosa per esser donna, insomma sia accettata coi fatti la di lei emancipazione, ed allora i figli di questa, educati alla ragione, saranno il tipo dell’uomo onesto, virtuoso e grande. Io sono madre e ho educato i miei figli al solo culto della ragione, lontani affatto dalla benché minima pratica religiosa…. Ebbene i miei figli crebbero onesti, buoni, affettuosi, rispettosi, in tutta l’estensione del termine. Io ho dunque tutte le ragioni per sostenere che l’educazione razionale basta di per sé solo alla moralità, per provare che questa è indipendente affatto dalla religione.
Dopo questa pubblicazione diventò collaboratrice delle seguenti testate: Il Libero Pensiero (Milano), il Popolo d’Italia (Napoli), La Donna (Venezia, diretto da Gualberta Beccari), l’Educatore del popolo (Torino), La Gazzetta di Salerno, La Vita Nuova; in questi periodici si trovano scritti di grande interesse come: Dio e l’anima; Paura della morte con la credenza di un’anima avvenire; I pregiudizi sociali; La vita umana; Istinto e ragione; la religione e la morale; la famiglia; Il celibato; La cremazione dei cadaveri e Paolo Gorini; La Francia repubblicana; L’emigrazione al Plata; Il volto santo di Lucca; Il dieci marzo; ecc.
Le teoriche sviluppate sui suoi scritti giornalistici erano le conseguenze logiche dei suoi studi di scienze naturali applicate alla filosofia e manifestate con stile popolare adatto a lasciare grande impressione nei lettori. Da sempre farsi capire dal popolo senza tradire la scienza è capacità di pochi e Maria Alimonda Serafini la ebbe pienamente.
Interessanti i suoi epistolari con Giuseppe Ricciardi e col filosofo libero pensatore di Pavia Giulio Lazzarini, con il quale divise il progetto di fondare un istituto scolastico nazionale per liberi pensatori.
Pubblicò poi altri due interessanti testi: Gli eserciti permanenti e Matrimonio e divorzio, il primo edito a Milano e il secondo a Salerno. Nel primo dimostra come gli eserciti permanenti siano di danno al pubblico erario, inutili alla pace e alla difesa della patria, causa di dissoluzione nelle famiglie e di libertinaggio nella società, morte morale e materiale dei soldati stessi, causa di emigrazione, apportatori di povertà, prostituzione e delitti, inerzia agricola, schiavitù, fiacchezza e miseria. In “Matrimonio e divorzio” sostiene che l’uno non può sussistere senza l’altro e che anzi il divorzio sia la salvaguardia dell’amore fra i coniugi e simbolo di tempi liberi e civili.
Maria muore nel 1879.
Fonti:
- Fabio BERTINI: Il libero pensiero e i diritti sociali delle donne negli anni Settanta dell’Ottocento: Maria Alimonda Serafini, in “Partiti e movimenti politici fra Otto e Novecento”, a cura di S. Rogari, tomo primo, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2004, pp. 449-467.
- L. GAZZETTA: Giorgina Saffi. Contributo alla storia del mazzinianesimo femminile. Franco Angeli 2003.
- Carlo VILLANI: Stelle femminili, Albrighi e Segati 1915
Nota biografica a cura di Paolo Alberti