Rocco Scotellaro nacque a Tricarico il 19 aprile 1923 in una famiglia di piccoli artigiani. Il padre Vincenzo era calzolaio, la madre Francesca Armento casalinga, sarta e scrivana del paese.
Frequentò le scuole elementari a Santa Croce e per poter continuare a studiare dovette accettare la vita del convento, dapprima a Sicignano degli Alburni, dove frequentò le prime tre classi ginnasiali e, subito dopo, nel convento dei Cappuccini a Cava dei Tirreni in provincia di Salerno. I suoi studi proseguirono con frequenti trasferimenti, a Matera, Tricarico, Potenza e infine Trento, dove, appoggiandosi alla presenza di una sorella ivi residente, conseguì la maturità classica nel 1941 presso il liceo Giovanni Prati; tra i suoi insegnanti ci fu Giovanni Gozzer, un antifascista di formazione cattolica, che fu importante per il giovane Scotellaro al fine di confrontarsi con i fondamenti teorici del socialismo.
Il 14 maggio 1942 morì il padre e certamente a questo evento si collega lo stato di smarrimento che lo portò ad essere attratto da diversi percorsi di vita, che hanno riscontro in alcune sue opere come il racconto Uno si distrae al bivio e il dramma in tre atti Giovani soli. Nell’autunno del ’41 Scotellaro si era iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma e per mantenersi agli studi aveva trovato lavoro presso un collegio di Tivoli. In seguito alla morte del padre fu tuttavia costretto a lasciare Roma per rientrare al paese natale e a iscriversi dapprima all’Università di Napoli e successivamente di Bari, senza tuttavia conseguire mai la laurea.
L’evoluzione del pensiero di Scotellaro in questa fase si trova bene espressa nella corrispondenza con Tommaso Pedio. Troviamo in questo carteggio la figura di un uomo che non vuole perdere il contatto con la prassi e con progetti concreti di attività politica. Infatti all’inizio del 1944 – o alla fine del 1943 secondo altre fonti – fondò, con sede nella sua propria abitazione, la sezione “Matteotti” del Partito Socialista di Tricarico dopo essersi iscritto allo stesso partito il 4 dicembre 1943. Fu in questo periodo e in occasione dei Ludi juveniles a Potenza che conobbe Rocco Mazzarone, medico e scrittore, figura di grande importanza nel movimento “meridionalista”, il quale rimase colpito dalla lettura di una poesia e di un articolo dell’appena ventenne Scotellaro. Il primo articolo di argomento politico di Scotellaro, dedicato al socialista Camillo Prampolini, fu pubblicato sul periodico “Battaglie Goliardiche” dell’associazione universitaria Luigi La Vista di Potenza.
La grande attenzione di Scotellaro per le dinamiche di cambiamento che si andavano preparando e svolgendo in Italia è testimoniata, per esempio, da una lettera a Elio Vittorini, che scaturisce dall’attenzione che Scotellaro stesso aveva riservato alla rivista “Politecnico” che rappresentava senza dubbio una grossa carica di rinnovamento nell’ambito della cultura e della politica italiana. Scrive Scotellaro in questa lettera:
«Ora sono qui al mio paese, un grosso borgo agricolo della Lucania. Non ti desterà meraviglia sapere che il tuo giovane amico amante della letteratura, e che ti manda poesie, è il sindaco di questo paese, voluto dagli elettori della lista “Aratro”. Uno dei più giovani sindaci – mi dicono: sono nato nel 1923. Stretto dalle cose amministrative, dai manovali che chiedono lavoro e sfamarsi, dal problema di mettere su un ospedale, non leggo “Politecnico”. Non arriva e abbonarsi è poco facile. Scrivo anche raramente. In compenso, vivo una esperienza dura, ma necessaria, utile. Un’esperienza da Politecnico sottinteso, non scritto.»
Scotellaro era stato infatti eletto sindaco nelle amministrative del 1946 al termine di un percorso di attività inesauribile in seno al partito e come propulsore del Comitato di Liberazione di Tricarico. Forse non leggeva “Politecnico” ma non può non balzare all’attenzione che il progetto di questa importante esperienza culturale, espresso nel primo numero della rivista con queste parole: «non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini» sembra proprio il progetto che prendeva corpo nel percorso esistenziale tradotto in prassi quotidiana interpretato da Scotellaro. Questa determinazione appare anche in conclusione del racconto Uno si distrae al bivio:
«Ora dice che potrebbe far la lotta con la vita, anche se debole. Essere un altro se stesso con la mentalità dei migliori. Dice che bisogna fermamente decidere picchiando il tavolo col pugno duro. La sua generazione s’avvia con un treno che anche lui dovrà prendere.»
Nel maggio 1946 conobbe Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria in occasione della campagna di voto per la Repubblica nel referendum di giugno.
Nel gennaio del 1947 il Partito gli affidò l’incarico di ispettore regionale per il lavoro giovanile; questa nuova esperienza consolidò l’interesse di Scotellaro per le difficilissime condizioni dei lavoratori. Questo interesse si andava concretizzando anche nella sua attività letteraria per la quale ebbe anche i primi riconoscimenti, come il premio L’Unità per la poesia del 1947. Nell’estate ci fu l’inaugurazione dell’ospedale a Tricarico che poté essere visto come segnale di un mutamento importante, poiché questa realizzazione fu conseguenza di una forma diffusa di partecipazione popolare che andava ad escludere intermediazioni burocratiche e prevaricanti.
Tuttavia nella seduta del 17 settembre 1947 maggioranza e opposizione si scontrarono duramente sul problema della riscossione delle imposte comunali. L’avvocato Domenico De Maria proponeva la nomina di un direttore responsabile per la riscossione delle imposte di consumo al fine di garantire ai cittadini un controllo più rigoroso e trasparente. Antonio Picerno, della maggioranza, propose di discutere dell’argomento al ritorno di Scotellaro che si trovava a Bari per sostenere gli esami universitari. Ma le dimissioni di repubblicani e indipendenti avevano ridotto la coalizione di sinistra e Scotellaro fu costretto a dimettersi.
Fu rieletto sindaco nel novembre del 1948 subito dopo l’amarezza per la sconfitta del Fronte Popolare alle elezioni politiche del 18 aprile. Sconfitta che Scotellaro definirà «pozzanghera nera». Scrisse a Carlo Levi:
«Carissimo Levi, […] ho pensiero personale che sia sorto il fascismo democratico. E voi, tu, Rossi Doria, altri, davvero rimarrete a guardare? Per i giovani sviati, senza guida o inconsciamente entusiasti, voi avete delle responsabilità necessarie. Le perplessità portano l’inerzia. E quando è naufragio non si salvano le vostre buone intenzioni. La vostra parola dovevate dirla. Dovete ora pronunciarla. Al mio paese è stato un vero naufragio. I repubblicani hanno votato DC. Ciò non sarebbe avvenuto senza la vostra assenza. Il Fronte ha raddoppiato i voti del 2 giugno. In Italia la mancanza di un centro agguerrito pregiudicherà la democrazia.»
La seconda elezione a sindaco avvenne con una coalizione denominata Fronte Democratico Popolare che radunava socialisti, comunisti e indipendenti sotto il simbolo dell’Aratro. Si aggiudicò 16 seggi mentre i 4 seggi della minoranza andarono alla DC. Gli impegni politici portarono un calo sensibile della produzione poetica e letteraria. Ricordiamo che tra il 1949 e il 1950 si trovò ad affrontare il problema dell’occupazione delle terre. In questa fase riprese i contatti con Tommaso Pedio allo scopo di organizzare una difesa dei detenuti di Irsina e Matera coinvolti nelle rivolte dei braccianti dei mesi di novembre e dicembre 1949 che ebbero il loro momento più tragico con la morte di Giuseppe Novello, giovane bracciante, avvenuta il 17 Novembre 1949. Tale episodio è richiamato nella poesia Montescaglioso e anche nell’Uva puttanella. L’Assise per la terra, che si tenne a Matera il 3 e 4 dicembre 1949 lo vide attivo partecipante, tanto che venne eletto nel Comitato regionale dell’Assise per la rinascita del Mezzogiorno.
L’8 febbraio 1950 venne arrestato per la seconda volta – lo era già stato tra il 25 e il 27 settembre del 1948 – con l’accusa infondata di concussione in relazione a fatti avvenuti qualche anno prima. Rimase in carcere fino a marzo. Nonostante la positiva soluzione giudiziaria della cosa – il 24 marzo infatti la Sezione istruttoria della Corte di appello di Potenza prosciolse Scotellaro «per non aver commesso il fatto» ovvero «perché il fatto non costituisce reato» e, ordinandone la scarcerazione, alluse esplicitamente nella sentenza a una concertata «vendetta politica» – la vicenda fu comunque devastante sul piano umano. Di quei giorni drammatici resta traccia nell’Uva Puttanella. L’esperienza lo mise a contatto con la camorra carceraria che nel microcosmo delle carceri detta legge. Ma riuscì a ritagliare lo spazio per avviare la sua camerata alla lettura serale di Cristo si è fermato ad Eboli «il più appassionato e crudo memoriale dei nostri paesi». Lo stesso Carlo Levi si impegnò fortemente per dimostrare l’innocenza di Scotellaro e per sostenerlo da un punto di vista morale e psicologico durante i 40 giorni di carcerazione a Matera.
Tra il finire degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 Scotellaro fece altre conoscenze utili intellettualmente. Conobbe lo scrittore napoletano Michele Prisco durante il convegno a Macerata su “La cultura nelle province”. Lo stesso Prisco si adoperò perché fosse assegnato a Scotellaro il premio Roma per la poesia. Conobbe anche George Peck, storico-antropologo americano che in riferimento agli studi sulla civiltà contadina aveva eletto Tricarico come osservatorio privilegiato; il filosofo Friedrich G. Friedmann ed Edward G. Banfield particolarmente interessati allo studio dei sassi di Matera; l’antropologo Ernesto De Martino; Donald S. Pitkin che studiò la comunità di Sermoneta; tutti personaggi dediti allo studio della realtà contadina del Mezzogiorno d’Italia.
Scotellaro divenne collaboratore della rivista “Comunità” punto di riferimento del Movimento fondato nel 1947 da Adriano Olivetti e si vide assegnata anche una borsa di studio dallo stesso movimento.
Nel maggio del 1950 diede le dimissioni dalla carica di sindaco e si trasferì a Roma, dove collaborò con Einaudi; ma subito dopo si trasferì a Portici, grazie anche all’interessamento di Manlio Rossi-Doria, per lavorare all’Osservatorio di economia e politica agraria della facoltà di Agraria dell’Università degli studi “Federico II” di Napoli; qui partecipò in veste di segretario di redazione, alla stesura dei preliminari per il Piano regionale di sviluppo della Basilicata commissionato dalla SVIMEZ. Con la supervisione di Mazzarone si occupò di problemi igienico-sanitari e scrisse le relazioni sull’analfabetismo e la scuola. Scrisse in proposito:
«La creazione della scuola in tali zone (che oggi si localizzano nella fascia orientale della Basilicata) va vista nel quadro della trasformazione del regime fondiario, prossimo a mutarsi, con il passaggio da forme di agricoltura estensiva a forme più progredite. Il processo già avviato di trasformazione potrà conseguire gli effetti sperati se alla rivoluzione tecnica si accompagnerà con lo stesso ritmo la preparazione culturale delle masse contadine».
E poco oltre:
«Dagli sperati interventi dell’Ente pubblico – che siano organici e, questa volta come è augurabile, non discontinui – c’è da attendersi per le sventurate popolazioni lucane quella civiltà nuova e moderna che si concreti non solo nelle scuole e nella cultura, bensì anche nelle realtà economiche, conseguenti alla trasformazione fondiario-agraria, e in organizzazioni e rapporti sociali nuovi.» [R. Scotellaro, Scuole di Basilicata, Napoli, RCE edizioni, 1999]
Forte di questa esperienza si dedicò a scrivere Contadini del Sud, il testo che gli venne affidato nel maggio 1953 da Vito Laterza con la mediazione dell’amico poeta Vittore Fiore. La morte prematura gli impedì di portare a termine quel programma che probabilmente aveva in mente teso a rappresentare attraverso singoli episodi di storia quotidiana tutto il Mezzogiorno continentale. Dalla collaborazione con George Peck derivava l’uso dei questionari dei quali Scotellaro si servì abbondantemente per l’opera Contadini del Sud.
Nel 1951 gli era stato assegnato il Premio Cattolica per la poesia dialettale. Si candidò alle elezioni provinciali del maggio 1952, nonostante crescenti disaccordi con il PSI materano ma non venne eletto. Nello stesso anno gli venne assegnato il Premio Monticchio per la poesia, seguito nel ’53 dal Premio Borgese. A dicembre insieme a Carlo Levi fece un viaggio in Calabria, allo scopo di studiare le conseguenze della riforma agraria: sono rimasti interessanti appunti in seguito a questo viaggio.
Nel 1953 iniziò una collaborazione con il giornale “Nuova Repubblica”, che aveva iniziato le pubblicazioni nel gennaio per difendere le posizioni del movimento politico Unità Popolare, la cui ufficializzazione è dell’aprile, sorto dalla convergenza di Tristano Codignola (Movimento di Autonomia socialista) e Ferruccio Parri (Rinascita repubblicana) che si muoveva nel solco della tradizione culturale e morale dell’azionismo. A conferma di questa evoluzione di pensiero tesa allo svecchiamento e al consolidamento di una identità socialista autonoma dal PCI e svincolata dal patto atlantico, partecipò al convegno organizzato dai gruppi toscani di Giustizia e Libertà svoltosi a Pisa con la partecipazione tra gli altri di Carlo Cassola e Aldo Capitini.
Il 15 dicembre 1953 Scotellaro morì improvvisamente, poco prima di sedersi a tavola per cenare con amici, per un infarto a Portici lasciando incompiuti molti progetti; Contadini del Sud ottenne nel ’54 il Premio San Pellegrino e sempre nel 1954 gli fu assegnato il Premio Viareggio “post mortem” per la poesia. I sintomi del male si erano già manifestati durante la sua permanenza a Irsina, in provincia di Potenza, dove era stato, ospite dei braccianti della zona, per il suo lavoro su I Contadini del Sud. Si era sottoposto a visita rientrando a Portici e sembrava avviato a guarigione attribuendo i sintomi di soffocamento ed estrema stanchezza a un eccessivo affaticamento.
La stessa madre Francesca Armento, alla quale Rocco aveva scritto il 15 dicembre («non pensate ai soldi. Un giorno usciranno e saranno troppi, se campo, come camperò, perché ne vale la pena») racconta il funerale del figlio:
«Quando mi portarono a casa la bara con il mio tesoro dentro, il corteo non finiva mai, nelle case di Tricarico non rimase nessuno, tutti ad accompagnare mio figlio, gente da tutti i paesi, macchine, corone di lusso. Il dott. Carlo Levi e il dott. Rossi Doria e i compagni ne fecero assai per mio figlio: nessuno potrà più vedere quel corteo; e quanta moneta spesero per Rocco, che gli volevano tanto bene». (F. Armento, Dalla nascita alla morte di Rocco Scotellaro: il racconto e le immagini, Galatina, Congedo editore, 2011).
Fonti:
- A. Di Franco, «A fare il giorno nuovo»: Rocco Scotellaro tra letteratura e politica. Griseldaonline 2016-2017
- R.S. Borello, A giorno fatto: linguaggio e ideologia in Rocco Scotellaro. Matera 1977.
- A. Giannone, Profilo di Rocco Scotellaro, in “Critica Letteraria” n. 117, 2002.
- M. Motta, Rocco Scotellaro: l’enigma del Neorealismo, nota biobibliografica, in “Atelier” settembre 2004.
- G. Dell’Aquila, Notizie biografiche, in Tutte le opere di Rocco Scotellaro, Milano 2019.
- F. Fortini, La poesia di Scotellaro, Roma-Matera 1974.
- M. Rossi Doria e altri, Il sindaco poeta di Tricarico, Roma-Matera 1974.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Contadini del Sud
Contadini del Sud è il risultato di una esperienza antropologico-letteraria assolutamente innovativa di Scotellaro. Nel saggio emergono le figure dei contadini che narrano di sé ed esprimono liberamente la propria sensibilità, senza una mediazione che potrebbe rivelarsi costrittiva. - È fatto giorno
Dagli anni del secondo dopoguerra l’impegno politico dell’autore per trovare soluzioni, nel meridione d’Italia, alla miseria del lavoro agricolo trova riscontro nella sua necessità di mettere in poesia, e in questo modo fissarle nella memoria, le vittorie del movimento contadino e le ancor più dure sconfitte. - Margherite e rosolacci
Il substrato umano, ma anche etnografico e geografico, di questa raccolta di versi rimasti inediti dopo la pubblicazione di È fatto giorno, resta quello della Lucania mitica e della sua gente. L’opera è un canto di fedeltà di un intellettuale moderno al suo paese d’origine. - Racconti
La vita pone davanti dei bivi, innumerevoli alternative possibili di vita, di azione, di scrittura e le scelte si presentano come necessarie. In questi racconti possiamo analizzare la figura dell’autore, la cui formazione è attraversata da turbamenti e da un groviglio di sentimenti, ed identificare la prefigurazione di tutto quello che egli è stato in seguito. - L’uva puttanella
Più che un romanzo autobiografico, rimasto frammentario per la morte dell’autore, siamo di fronte a un testo intermedio tra il libro di memorie e il saggio-inchiesta, opera che fece discutere molto tutto l’ambiente del Partito Comunista dell’epoca.