Saverio Scrofani

Saverio Scrofani nacque a Modica (Ragusa) nel 1756. Di famiglia modesta, lo zio materno, monsignor Giovanni Battista Alagona vescovo di Siracusa, si incaricò della sua istruzione nella speranza di avviarlo alla carriera ecclesiastica, ma il giovane preferì rimanere abate, dandosi presto a una vita salottiera e galante.

A Palermo, dove si era trasferito con lo zio, si mise a frequentare i tavoli da gioco. Non tardò a invischiarsi nei debiti, dai quali cercò di uscire predisponendo un falso dispaccio che gli accreditava una consistente somma di denaro elargitagli dal vicerè. La madornale frode venne casualmente scoperta quasi sul punto di riuscire, e nel 1786 lo Scrofani dovette scappare. Bandito come infame, inaugurò le sue peregrinazioni di esule forzato, rimanendo tale per quasi venticinque anni.

Alla ricerca di una occupazione fissa e di protettori influenti, la sua prima tappa fu Firenze, dove giunse nel 1787 e approfondì le conoscenze in materia di agricoltura e di economia, per le quali aveva manifestato precoci interessi: aderendo ai principi fisiocratici, iniziò così a sviluppare un proprio pensiero di politica economica nel solco di un moderato riformismo liberistico.

Incalzato dal mandato di cattura e non sentendosi tranquillo in Toscana, l’anno dopo emigrò a Parigi, e vi restò fino agli inizi del 1791. Qui si confrontò con i migliori studiosi nel campo dell’economia politica e agraria, e in specie con il Rozier, ma soprattutto fu attratto dai fermenti rivoluzionari, che lo indussero a scrivere l’opuscolo Tutti han torto ossia lettera a mio zio sulla rivoluzione di Francia. Il libello, che divenne oggetto di molte polemiche, era animato da idee conservatrici, peraltro temperate da una indubbia simpatia per le esperienze rivoluzionarie, che lo Scrofani considerava un’officina promettente, e di per sé non negativa, di energie politiche e di aspirazioni sociali ancora ignote all’Europa. Tradotto in varie lingue, più volte ristampato e infine completato nel 1793 con un seguito dal titolo Tutti han ragione, è il primo libro italiano che analizza le cause della rivoluzione francese in un quadro valutativo di ampio respiro, e valse una immediata risonanza all’autore.

Dopo averlo pubblicato a Firenze, dove si era trasferito nel corso dello stesso 1791, lo Scrofani fece uscire due studi che gli avrebbero assicurato un posto di rilievo tra gli economisti del Settecento riformatore: Sulla libertà del commercio dei grani nella Sicilia (1791), e Riflessioni sopra le sussistenze desunte dai fatti osservati in Toscana (1795).

Passato a Venezia verso la fine dell’anno, continuò a occuparsi di problematiche economiche in un proficuo dibattito con due dei maggiori sostenitori delle teorie liberistiche, il Biffi Tolomei e il Gianni, alternando le speculazioni dottrinali alla frequentazione dei più esclusivi circoli culturali e alla vita mondana, intessendo tra l’altro una relazione con Annetta Vadori, dama senza scrupoli con la quale anche in seguito avrebbe legato il suo nome. Risale a questo periodo la prima accertata attività spionistica dello Scrofani a favore del governo napoletano, nella malriposta speranza di propiziarsi in tal modo un rapido richiamo in patria.

Durante la parentesi veneziana concepì pure la sua opera letteraria più rappresentativa, il Viaggio in Grecia, esito di un viaggio nel Levante che aveva costeggiato da Venezia al Pireo. Preannunciato nella traduzione italiana del Viaggio sentimentale dello Sterne da lui curata nel 1792, durò dal luglio del 1794 al gennaio del 1798 e si articolò in due fasi cronologiche ravvicinate: la prima probabilmente al seguito di qualche viaggiatore italiano o straniero, e la seconda come accompagnatore del bailo veneziano a Costantinopoli.

L’Accademia dei Georgofili di Firenze si era impegnata per pubblicarne la relazione, ma lo Scrofani non aveva fatto i conti con la censura, che giudicò negativamente lo scritto, apparso troppo polemico perfino a un ambiente di tradizioni moderate e tolleranti qual era il granducato di Toscana. A Firenze riuscì a stampare solo la seconda parte del lavoro, che nel piano editoriale dell’autore avrebbe dovuto costituirne l’appendice e apparve nel 1798 con il titolo di Relazione su lo stato attuale dell’agricoltura e del commercio della Morea.

Diffidato dal rimanere in Toscana e dal rimettervi piede, nel medesimo anno lo Scrofani decise perciò di recarsi a Roma, dove nel frattempo si era instaurato il regime repubblicano dopo la cacciata di Pio VI, e consegnò il manoscritto al Salvioni, lo stampatore ufficiale della Repubblica: ne venne fuori un’edizione affrettata, speditiva e nemmeno corretta sulle bozze, che un mendace frontespizio dichiarava pubblicata a Londra, e che uscì in tiratura ridotta nel corso del 1799 prima di finire sequestrata dalla polizia papalina durante l’effimero ritorno del pontefice.

Era successo che il suo autore era intanto accorso a Napoli, illuso dalla prospettiva di ottenere un onorevole impiego fra i tanti che si stavano liberando nei cambiamenti al vertice prodotti dal nuovo assetto rivoluzionario. Ma nulla si concretizzò, e ad anno inoltrato un deluso Scrofani riprese la strada per Parigi quasi un decennio dopo averla lasciata, stavolta come segretario al seguito del facoltoso patrizio lombardo Paolo Greppi.

Il posto stabile che invano aveva cercato a Napoli lo chiese a Napoleone, ma ricevette un altro diniego, sebbene compensato dalla nomina a socio corrispondente del prestigioso Institut de France per le benemerenze acquisite come pubblicista e studioso di economia. Nell’ambiente parigino ricominciò a scrivere, sollecitato dalle sedute scientifiche dell’Institut, e rivelandosi un poliedrico cultore di diverse discipline, senza trascurare le adulazioni di prammatica per gli incipienti fasti napoleonici, che affidò all’operetta La guerre des trois mois (1806).

Riprese tuttavia anche a svolgere attività spionistica per l’ambasciata napoletana, esercitandola in un sottile e pericoloso doppio gioco di confidente della polizia parigina specie a danno dei numerosi esuli italiani che la crisi militare delle repubbliche rivoluzionarie aveva spinto a Parigi, ben speranti nell’astro nascente di Napoleone. Quando poi il Greppi si ammalò e infine morì, lo Scrofani si diede a rubargli in casa con la scaltra complicità della Vadori finché, colto sul fatto, fu costretto a lasciare definitivamente la Francia dopo altri oscuri maneggi forse legati a falsificazioni monetarie.

Sia perché non aveva mai veramente tagliato i ponti con il regno napoletano sia per l’esperienza che ormai s’era fatta con lo spionaggio, nel 1809 il Murat lo volle a Napoli come funzionario del ministro della polizia, e finalmente con uno stipendio decoroso. Alla caduta del Murat, nel 1814 il reintegrato re Ferdinando IV di Napoli e poi I delle Due Sicilie, onorandone i meriti di economista gli conferì l’incarico di compilare la statistica del regno.

Dopo tante movimentate peregrinazioni pareva giunta la tranquillità, senonché qualche voce sulla sua partecipazione ai moti liberali del 1822, le persistenti simpatie massoniche e i trascorsi giacobini, l’anno successivo consigliarono di rimuoverlo dall’ufficio con un provvedimento che da lì a poco sarebbe stato in parte mitigato da un decreto riabilitativo dalla clamorosa condanna di tanti anni prima.

Per riottenere l’impiego perduto o ricevere almeno una pensione adeguata, facendo leva sul colpo di spugna appena conseguito e giovandosi di compiacenti amicizie redazionali, lo Scrofani cercò allora di manipolare le voci che su di lui si andavano pubblicando nella Biographie nouvelle des contemporains (1825), e nella Biographie universelle et portative des contemporaines (1830), i due dizionari biografici universali all’epoca più autorevoli e diffusi. Lo scopo mirava a costruire e accreditare un’autorevisione del proprio passato che consegnasse ai posteri un positivo ricordo di sé, sostituendo alla poco raccomandabile immagine di una vita scombinata e trascorsa sotto troppe bandiere il ritratto più rassicurante e giustificativo di un illuminista curioso indagatore delle multiformi esperienze politiche che si erano succedute nel panorama europeo nel giro di un quarantennio, oltre che di un buon patriota che in ogni circostanza non aveva mai lesinato ai vari governi le proprie competenze in campo economico. Parallelamente attuò una profonda revisione sul Viaggio in Grecia, eliminando i passaggi pervasi da spiriti repubblicani e libertari, gli spunti più scopertamente polemici, e i tratti potenzialmente critici o non allineati nei riguardi del regime monarchico. Con queste sostanziali modifiche, e limato pure nell’aspetto formale, il libro riapparve nel 1831, molto diverso dal suo originario spirito informatore.

Quando il 7 marzo 1835 concluse la sua disordinata esistenza (che negli ultimi tempi avrebbe conosciuto anche la dipendenza dall’oppio) Saverio Scrofani aveva raggiunto l’obiettivo che si era prefisso: da quattro anni era diventato direttore generale della statistica e censimento di Sicilia, e da tre era vicepresidente del R. Istituto d’incoraggiamento d’agricoltura arti e manifatture, ma soprattutto aveva confezionato a propria misura un persuasivo giudizio su di sé che avrebbe resistito inossidabile fino agli inizi del secolo scorso. Soltanto allora cominciò a incrinarsi in seguito alle ricerche di Benedetto Croce, per dissolversi definitivamente alla luce delle indagini più recenti, che, con la scoperta di nuovi documenti e un più spassionato riesame di quelli già noti, hanno rimesso a nudo la vera indole del personaggio: una coscienza inquieta e profondamente segnata da quell’inconciliato dissidio esistenziale fra l’essere e il dover essere che non è difficile incontrare nelle letterature d’ogni tempo.

Come uomo, lo Scrofani fu sostanzialmente uno spregiudicato avventuriero che visse ai limiti del romanzesco: badò sempre al personale tornaconto, non partecipò mai ad alcuno degli avvenimenti in cui si dichiarò coinvolto da diretto protagonista, seppe sfruttare in sommo grado i vantaggi di una raffinata adulazione, non esitò a sfidare i rischi e le conseguenze di un’illegalità maldestra e meschina, ed eccelse nell’invenzione di gaglioffe millanterie (rimane esemplare, tra i titoli fasulli da lui vantati, l’inesistente carica di “Soprintendente al commercio e all’agricoltura nel levante” che a suo dire gli era stata conferita dalla Serenissima in occasione del viaggio in Grecia).

Come scrittore e intellettuale, di converso, siamo di fronte a una delle menti più lucide e versatili della poligrafia tardo settecentesca, a un esponente di primo piano del pensiero economico agli albori delle idee liberiste, a un acuto osservatore politico e a un originale novatore della letteratura italiana di viaggio.

Queste intime contraddizioni non trapelano però dai suoi numerosi scritti, e tanto meno si colgono nell’edizione del 1799 del Viaggio in Grecia. Redatto in stile epistolare, con i destinatari criptati dalle loro iniziali ma agevolmente identificabili (fra i quali il Cesarotti, grande estimatore del libro), piacque subito negli ambienti europei più progressisti e venne tradotto in francese e tedesco anche per il suo originale taglio espositivo La rappresentazione del viaggio, infatti, vi assume un ruolo tutto sommato secondario, perché allo scrittore non interessa descrivere luoghi e genti secondo i più correnti canoni illuministici, e sotto questo aspetto il suo resoconto aderisce semmai al cliché di un recupero memoriale che a ragione gli hanno valso la definizione di “viaggiatore sentimentale”. Il motivo del viaggio è in realtà solo un pretesto narrativo, che sotto il facile confronto fra l’antica prosperità della Grecia e la sua misera condizione attuale gli permette di aprirsi a digressioni audaci e a impennate polemiche su argomenti di portata più generale e apparentemente estranee al tema conduttore, e tuttavia finalizzate a un insinuante e ben dissimulato messaggio politico che ancor meglio si coglie se il Viaggio viene letto accanto alla Relazione su lo stato attuale dell’agricoltura e del commercio della Morea (in origine concepita come sua appendice tecnica): non si fatica allora a scoprire come lo Scrofani auspicasse la scomoda rinascita di una Grecia moderna che fosse in grado di reinserirsi fra le nazioni economicamente rilevanti e trainanti in un nuovo equilibrio europeo: una visione innovativa benché aderente a un orientamento moderatamente laico e riformista, che fu salutata con favore dagli spiriti rivoluzionari, senza con ciò dispiacere ai sempre più numerosi fautori dell’autodeterminazione dei popoli.

Bibliografia

La rivisitazione della biografia di Saverio Scrofani ha preso l’avvio dall’articolo di B. Croce, Intorno a Saverio Scrofani, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, XXVII (1902), pp. 277-281 (poi ripubblicato in La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, Bari 1912, pp. 393-396), e ha avuto il suo epilogo nella seconda metà del secolo scorso, in particolare grazie alle due basilari ricerche di R. Zapperi, La “fortuna” di un avventuriero: Saverio Scrofani e i suoi biografi, in “Rassegna storica del Risorgimento”, XLIX (1962), 3, pp. 447-484, e di C. Mutini, “Viaggio in Grecia” di Saverio Scrofani: ricerche sulle vicende editoriali, in “Annali della Scuola Speciale per Archivisti e bibliotecari dell’Università di Roma”, II (1962), 2, pp. 81-117. Quest’ultimo studioso ha pure curato l’edizione di riferimento attualmente più attendibile dopo quella pubblicata per la prima volta da Carlo Cordié nel 1945: S. Scrofani, Viaggio in Grecia. Introduzione, testo e nota filologica, a cura di C. Mutini, Roma 1965 (dalla quale si sono in buon parte tratte le notizie essenziali per la stesura di queste note). Il profilo biografico più completo resta al momento la voce redatta dallo stesso Cordiè (che dell’attività letteraria dello Scrofani è stato attento valorizzatore) nel Dizionario letterario Bompiani degli autori di tutti tempi e di tutte le letterature, III, Milano 1957, p. 485 (= p. 173 nel IV volume dell’edizione accresciuta, Milano 1972). Sul significato politico del Viaggio in Grecia e della Relazione su lo stato attuale dell’agricoltura e del commercio della Morea, sono essenziali le pagine di F. Venturi, Settecento riformatore, III, Torino 1979, pp. 140-144.

Note biografiche a cura di Giovanni Mennella.

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Memorie di pubblica economia
  • Relazione su lo stato attuale dell’agricoltura e del commercio della Morea
    Apparsa nel 1798, la Relazione è il resoconto di un’indagine conoscitiva che Saverio Scrofani avviò dopo che la Repubblica di Venezia lo aveva nominato Sovrintendente generale dell'agricoltura e del commercio col Levante, facendogli compiere un sopralluogo nella Morea (l’odierno Peloponneso, allora sotto dominazione ottomana).
  • Viaggio in Grecia
    Fatto nell'anno 1794, 1795
    Apparso nel 1799 a Londra, come dichiara il mendace frontespizio, ma in realtà stampato a Roma da Salvioni, tipografo ufficiale della Repubblica romana, incontrò subito un grande favore negli ambienti europei più progressisti, e fu ampiamente tradotto.
 
autore:
Saverio Scrofani
ordinamento:
Scrofani, Saverio
elenco:
S