Vladimir Sergeevič Solov’ëv nacque a Mosca il 16 gennaio del 1853.
Il padre, Sergej Michajlovič Solov’ëv, era professore all’università di Mosca, – e ne divenne poi rettore – e fu autore di una monumentale Storia della Russia fin dai tempi più antichi (1851-79) in 30 volumi, che però giunge solo fino al 1774 poiché si fermò al ventinovesimo volume. Scrisse anche Storia della caduta della Polonia. Il nonno era invece un ecclesiastico. Probabilmente questo fatto incise nella sua infanzia ed educazione che fu profondamente religiosa.
All’università di Mosca frequentò la facoltà di storia e filosofia e trascorse anche un anno presso l’Accademia teologica. Un breve intermezzo nel quale si avvicinò allo studio delle scienze non ebbe seguito e fu per lui una delusione. Nel 1874 si laureò in storia e filosofia con una tesi sulla Crisi della filosofia occidentale. Contro i positivisti, mentre nel 1880 terminò il dottorato con una dissertazione intitolata Critica dei principi astratti.
Iniziò quindi la professione d’insegnante, succedendo a soli 21 anni al suo insegnante Jurkevic che era appena deceduto. Ma nel 1881 pronunciò una conferenza nel corso della quale si professò contrario alla pena di morte per i colpevoli dell’assassinio dello zar Alessandro II. La conseguenza fu che le reprimende delle autorità lo costrinsero in pratica a rassegnare le dimissioni. Da quel momento si dedicò interamente all’attività di filosofo e scrittore.
Il suo pensiero filosofico subì influenze quanto mai variegate (dal neoplatonismo all’idealismo tedesco, da Spinoza e Leibniz agli scritti mistici di Böhme, Paracelso e Swedenborg, per citare le principali), e nel suo sviluppo prese caratteristiche sempre più mistico-escatologiche. La sua concezione di realtà si andava fondando sul dualismo di mondo noumenico e fenomenico, mondo «dell’Eternità» e mondo «del Tempo», e indicava nella vittoria dell’Eternità sul Tempo, nell’organica, armonica fusione di materiale e spirituale il fine ultimo del processo universale dell’essere.
Il principio che per Solov’ëv incarnava tale ideale di riconciliazione era la Sofia, «sapienza divina», elemento femminile nella creazione, «amica eterna», di cui egli affermava di aver avuto tre apparizioni – sotto le sembianze di bellissime fanciulle – , a Mosca, quando aveva appena otto anni, e durante due viaggi, a Londra e nel deserto egiziano.
Alcuni suoi importanti scritti (in particolare La Russie et l’église universelle, La Russia e la chiesa universale, 1889), furono dedicati alla riflessione sull’organizzazione e il futuro della chiesa, che egli vedeva in una libera società teocratica nella quale si realizzasse l’unione di tutte le chiese e l’alleanza tra chiesa e stato.
La sua concezione dell’arte (esperienza iniziatico-mistica tramite la quale l’artista-«teurgo» deve mirare alla trasformazione della realtà in un mondo di assoluta bellezza) fu esposta in alcune opere teoriche, quali Obščij smysl iskusstva (Il significato generale dell’arte, 1890) e Krasota v prirode (La bellezza nella natura, 1899) e nei suoi saggi critici, tra i quali Tri reči v pamjat’ Dostoevskogo (1881-83; Tre discorsi in memoria di Dostoevskij, Roma 1923), O značenii poezii v stichotvorenijach Puškina (Il significato della poesia nelle liriche di Puskin, 1899), Lermontov (1899). Da ricordare che aveva conosciuto Dostoevskij divenendone amico fin dal 1873.
La produzione letteraria di S. comprende opere in prosa di carattere filosofico, quali Tri razgovora (Tre conversazioni, 1900) e Kratkaja povest’ Antichrista (Breve storia dell’Anticristo, 1900), che è il suo ultimo scritto e, forse, il più celebre. Il testo narra di un uomo dotato di virtù eccezionali che riesce a pacificare l’umanità e sa anche ridare unità ai cristiani divisi da secoli di separazioni e scismi. La sua opera viene contrastata e sconfitta e lui smascherato come l’Anticristo da un nucleo irriducibile di cristiani.
In questi scritti sembra prevalere talvolta un intento parodistico e talaltra satirico; l’ispirazione mistica non è disgiunta dal gusto per il paradosso, come nella farsa Belaja lilija (Il giglio bianco, 1878-80), e nelle composizioni in versi.
La poesia di Solov’ëv, influenzata da Fet e Tjutčev, è strettamente connessa alla sua concezione dualistica del mondo e alla sua esperienza mistica (in particolare nel ciclo dedicato alla «Sofia», comprendente tra l’altro le famose Das Ewig-Weibliche, 1898, e Tri svidanija, Tre incontri, 1898). Tuttavia possiamo riscontrare anche in questi scritti accenti che possono essere visti come ironici.
Nelle sue liriche appare per la prima volta quell’«atmosfera anelante di attese, tremori, palpiti», quella «trama di segnalazioni cosmiche e di fievoli presagi» (A. M. Ripellino), che sono gli aspetti caratteristici dei simbolisti della seconda generazione Ivanov, Blok e Belyj, e per questo si può affermare che Solov’ëv esercitò su loro un’influenza non trascurabile.
Morì a Mosca il 31 luglio 1900 a soli 47 anni. Tre anni prima aveva aderito alla religione cattolica.
Nell’Enciclica Fides et ratio, Giovanni Paolo II lo accomuna a John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain e Pavel Florenskij come i pensatori che hanno condotto una «coraggiosa ricerca» sul rapporto tra filosofia e parola di Dio.
Vladimir Zelinskij, docente di letteratura russa all’università cattolica di Brescia, dice di Solov’ëv: “Per tutta la vita egli ricercò l’unità visibile nella storia, tuttavia nella sua ultima opera profetizzò il ritorno all’unità non prima del Giudizio finale. La sua eredità più grande è il messaggio di riconciliazione fra Oriente e Occidente cristiano, fra l’intelligentsia agnostica e la Chiesa, fra il cristianesimo e il popolo ebraico, fra la razionalità e la mistica, così come la ricerca di una risposta comune alla sfida delle forze anticristiane. Un lascito che a 110 anni dalla sua morte resta ancora da scoprire e vivere pienamente”.
Michelina Tenace, docente di Antropologia teologica alla Pontificia Università Gregoriana, tra le prime in Italia a studiarlo in profondità dal punto di vista teologico, spiega così il contrasto tra Solov’ëv e Tolstoj riprendendo precedenti critiche da parte di personalità del gesuitismo: “La parabola letteraria dell’Anticristo richiama l’urgenza di un discernimento da parte dei cristiani di fronte alla falsificazione del ‘bene’: è falso quel bene che rende vana la croce di Cristo, vana la fede nella Resurrezione, vana la Rivelazione divina. Persino il Vangelo può diventare ideologia, ossia teoria sulla pace, sul benessere e la riconciliazione. Questo è il motivo della sua opposizione a Tolstoj”.
Fonti:
- L. Montagnani, voce: Solov’ëv, in GDE, Torino, 1990.
- R. Poggioli, Introduzione a Il fiore del verso russo, Milano 1970.
- A. M. Ripellino, Introduzione a Poesia russa del Novecento, Milano 1983.
- F. Rizzi, E Solov’ëv smascherò l’Anticristo, in Avvenire, 30 luglio 2010.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Due saggi sulla filosofia dell’amore
L'opera contiene due saggi legati tra loro dal filo conduttore dell’indagine sul tema dell’amore.