La secchia rapita (1622), composta in ottava rima, è sicuramente l’opera poetica più famosa di Alessandro Tassoni. Notissima è anche la sua trama: durante una scaramuccia tra bolognesi e modenesi, questi ultimi riescono a far fuggire i primi inseguendoli fin nel cuore della stessa Bologna dove, assetati, rubano una secchia da un pozzo. Dal loro rifiuto di restituirla alla sua legittima città, si scatena una complicatissima guerra che si conclude solo quando il legato pontificio riesce a raggiungere un accordo. Nonostante l’azione si svolga nel sec. XIII, i riferimenti alla contemporaneità sono numerosi ed espressi con arguzia. L’atteggiamento satirico dell’opera non è alieno da riferimenti polemici di carattere personale che contribuiscono a vivacizzare i personaggi.
Dall’incipit del libro:
1
Vorrei cantar quel memorando sdegno
ch’infiammò già ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno
che tolsero a i Petroni i Gemignani.
Febo che mi raggiri entro lo ‘ngegno
l’orribil guerra e gl’accidenti strani,
tu che sai poetar servimi d’aio
e tiemmi per le maniche del saio.
2
E tu nipote del Rettor del mondo
del generoso Carlo ultimo figlio,
ch’in giovinetta guancia e ‘n capel biondo
copri canuto senno, alto consiglio,
se da gli studi tuoi di maggior pondo
volgi talor per ricrearti il ciglio,
vedrai, s’al cantar mio porgi l’orecchia,
Elena trasformarsi in una Secchia.




