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Dall’incipit del libro:
“…. Et sconjuriamo ogni uno che si faciessero a leggere questa historia di ajutare credentia alle nostre parole, et di honorar la di cortese indulgentia. Con che poniam fine nel nome del Signore.” Le quali parole che chiudono la cronaca del canattiere di Bernabò, noi abbiamo stimato opportun o mettere in cima al nostro libro, quasi a perorare la nostra causa presso i lettori, e chieder loro quella credenza e benignità che il buon cronista domandava a’ suoi. E invero non è senza un segreto sgomento che osiamo per la prima volta srugginire e mondar dalla polvere una vecchia pergamena, in questi tempi in cui tanti illustri ci precedettero sul difficile cammino e si accaparrarono intera l’attenzione del pubblico. Se il pensiero di esser puntello al pericolante edifizio delle lettere e di recare singolar giovamento alla società non ci avesse sospinto all’arrischiata impresa, forse noi avremmo lasciato dormire quel prezioso manoscritto fino al dopo pranzo del dì del giudizio , a gran tripudio dei topi e delle tignuole. Ma la santità della nostra missione la vinse sul natural timore: il bisogno dei tempi è troppo altamente annunziato dal succedersi degli almanacchi e delle strenne, il Cicca berlicca, l’Ara bell’ara, il Minin minell, il Cicciorlanda e tali altri riputatissimi libri dovevano avere un confratello.


