Domenico Tempio nacque a Catania il 22 agosto 1750. Il padre, Giuseppe, era mercante di legna e la madre si chiamava Apollonia Arcidiacono. Domenico era terzo di sette figli.
Destinato dalla famiglia al sacerdozio, entrò in seminario dove restò fino al 1773 all’età di 23 anni. Si trattava del più importante istituto scolastico della città dove trovò come insegnanti alcuni tra i “dotti” che si erano impegnati, sotto la guida del duca di Camastra, alla ricostruzione e rinascita culturale e materiale dopo la distruzione del 1693 (terremoto che distrusse anche archivi e biblioteche) e la peste del 1743.
Viste tramontate le aspirazioni alla carriera ecclesiastica, il padre avrebbe voluto avviarlo alla professione forense, ma Domenico era decisamente più attratto verso gli studi letterari. Si dedicò alla traduzione di classici latini (Livio, Orazio, Tacito, Virgilio) e studiò Machiavelli e Guicciardini e anche i “minori” del ’500 soffermandosi sui poeti italiani a partire da Dante per giungere fino ai suoi giorni. La sua attenzione fu però fortemente attratta da alcuni rappresentanti, tra i più discussi, della cultura francese a lui contemporanea. Tra questi Charles Rollin, giansenista, figlio di un coltellinaio, che divenne anche rettore del Collège de France, tanto legato alla propria indipendenza da rifiutare un seggio all’Accademia di Francia, e Antoine-Yves Goguet che si oppose alle teorie di Rousseau sullo stato di natura, cercando di ricostruire uno stato dell’umanità, e nel tentativo di fondare sull’etnografia queste sue posizioni.
Pur continuando i suoi studi letterari che gli conquistarono fama nell’ambiente tanto da consentirgli l’ingresso nell’Accademia dei Palladii e nel circolo letterario di Ignazio Paternò di Biscari, non aveva smesso quelli giuridici, che dovette però interrompere quando si trovò costretto a proseguire l’attività commerciale del padre che nel 1775 era morto. Tutto questo con poco profitto perché è certo che dovette a più riprese contrarre debiti e fu costretto a una vita piuttosto misera. Dopo la morte della madre prese moglie, Francesca Longo, la quale morì di parto. Per allattare la bimba che era nata, prese in casa una balia, Caterina, che gli rimase accanto anche nei frangenti più difficili, non tralasciando di soccorrerlo anche finanziariamente al momento in cui i creditori terminarono di spogliarlo dei pochi beni rimastigli. Da questa relazione nacque un secondo figlio di nome Pasquale.
L’ultima parte della vita di Domenico Tempio fu caratterizzata da grande povertà, come si evince anche da certa sua corrispondenza, per esempio da lettera a Blasco Florio di Napoli del 1814. Una sovvenzione mensile gli venne da iniziativa degli amici e solo poco tempo prima della sua morte potè ottenere un vitalizio dal Monte di Pietà e dalla Mensa vescovile. Nel 1819 ebbe anche una pensione dal Comune di Catania.
Nonostante un regio decreto lo nominasse notaio del Casale di Valcorrente, pare che non abbia mai preso possesso di questo suo ufficio.
Morì a Catania il 4 febbraio 1820.
Percolla, praticamente il suo primo biografo, lo descrive “di complessione vigorosa e d’alta statura” con uno “sguardo acutissimo che dinotava un ingegno prepotente”, ma sottolinea soprattutto la sua ritrosia verso i “raggiri del basso mondo” che lo portarono sempre a rifuggire da cariche e onori e a vivere prevalentemente in solitudine, uscendo poco di casa e cercando solo la compagnia dei pochi veri amici che ne apprezzavano ingegno e meriti.
Le opere di Tempio furono pubblicate a Catania in tre volumi tra il 1814 e il 1815.
La sua opera maggiore, La Caristia, che prende spunto dai moti del 1798, racchiude tutte le componenti della sua poesia e richiese certamente molto tempo per la sua composizione. Iniziata probabilmente con pochi canti nel 1800, fu completata dopo il 1812, forse impegnando gli ultimi anni di vita del poeta. Fu pubblicata postuma, nel 1848, dall’editore catanese Sciuto e con la cura di Vincenzo Percolla.
Purtroppo la critica d’impianto desanctisiano lo liquida come “poeta osceno” ponendolo di fatto nel dimenticatoio, mentre Tempio, in sintonia con l’illuminismo europeo, illustra la sessualità senza sensi di colpa e lontano da ogni estetica ipocrita. Nell’opera di Tempio il corpo è finalmente proprietà di chi lo detiene liberandosi dalla morale annichilente. La sua poesia parla dell’ingiustizia, del sopruso, del potere, del denaro e dell’impari lotta fra il povero e il ricco perché il povero è un vaso (una “quartàra”) e il ricco una pietra che infine spacca il vaso. Sono le forze spontanee della natura, fisiche e morali, che danno sostanza alla sua poesia. Non un’idea “pornografica” quindi risulta sottesa alle sue parole, ma la condanna a tutto ciò che turba l’ordine naturale e contro le mostruose forzature che ledono l’armonia di ogni cosa creata.
Fonti:
- N. Scalia: Domenico Tempio: vita opere antologia. Genova 1913.
- V. Percolla: Biografie degli uomini illustri catanesi del sec. XVIII. Catania, 1842.
- S. Calì-V. Di Maria: Testi e studi tempiani, Catania, 1970.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Operi di Duminicu Tempiu catanisi
Tomu 1
In questo primo volume delle opere di Tempio emerge come la poesia di quest’autore nasca da un bisogno di giustizia e da un anelito forte di verità. Le condizioni politiche della Sicilia del XVIII secolo rendevano difficile e ardua la vita per i meno abbienti e ritardavano la conquista di una condizione più civile. - Operi di Duminicu Tempiu catanisi
Tomu 2
Nel secondo volume delle poesie di Domenico Tempio emerge con chiarezza l'obiettivo di abbattere miti, di scoprire gli aspetti più ridicoli o vuoti di favole e tradizioni, per una presa di coscienza più consapevole della realtà umana, di una visione dalla vita dove non c'è posto per sogni e false credenze. - Operi di Duminicu Tempiu catanisi
Tomu 3
Terzo (e ultimo) volume della raccolta di tutte le sue poesie. Tempio è considerato un poeta libero che usa tutti i suoi mezzi per smascherare le falsità e gli inganni della società.