In una delle sue ultime lettere, scritte praticamente dal letto di morte, Turgenev dice rivolgendosi a Tolstoj:
«Amico mio, tornate ai lavori letterari! Questo dono vi è venuto di là donde vien tutto! Amico mio, grande scrittore della nostra terra, esaudite questa mia ultima preghiera!…»
Turgenev intuiva che il vaglio della storia, mentre avrebbe tramandato e valorizzato l’opera di uno scrittore che ha contribuito in maniera determinante a costruire la letteratura moderna, avrebbe finito per stendere il velo della dimenticanza sulle sue idee critiche e filosofiche. In estrema sintesi, Tolstoj ritiene che l’arte avesse da tempo intrapresa una strada perniciosa e frivola e l’arte a lui contemporanea non era che l’ultimo gradino di questa discesa. Tutte le forme d’arte – compresa quella letteraria – erano comprese in questa caduta, in questa eresia estetica che consiste nell’aver posto come obiettivo supremo dell’arte stessa il raggiungimento del “bello”. In campo musicale, ad esempio, l’emblema della “contraffazione” è rappresentato – secondo Tolstoj – da Wagner. Come salvarsi da questa rovinosa caduta? La via di scampo indicata da Tolstoj è il ritorno alla forma “cristiana” dell’arte e alla sua demofilia nella sostanza. L’arte, come la morale, non può essere disgiunta dal cristianesimo. Il compito dell’arte deve essere quindi quello di trasportare dal dominio della ragione a quello del sentimento il fatto che la felicità degli uomini consiste nella loro unione; l’arte deve quindi accelerare questa unione fraterna.
Questo genere di ragionamenti, un po’ banalmente sillogistici, non erano nuovi in Tolstoj che già li aveva formulati a proposito della scienza. Questa infatti sarebbe venuta meno al suo scopo conoscitivo, non avendo dato soluzione al alcun problema né generale né particolare del sapere. E sarebbe venuta meno anche al suo scopo utilitario, perché non ha reso felice l’uomo, né ha saputo sostituirsi alla religione come guida suprema di condotta. Anche qui la mancanza di preveggenza è evidente; oggi vediamo infatti scienziati che, come sacerdoti, ispirano fideistici comportamenti in nome di una “evidenza” che farebbe sorridere qualunque studioso di storia della scienza. Ma Tolstoj in questo campo – artistico e scientifico, ma anche ad esempio, pedagogico – auspicava un ritorno alla semplicità primitiva dei costumi e delle tendenze.
Non credo che la “filosofia” di Tolstoj meritasse il disprezzo al quale lo sottoposero alcuni suoi contemporanei. Tra gli italiani mi colpirono alcune impietose osservazioni del critico e giurista Bassano Gabba che definì la dialettica tolstoiana un “bisticcio” e la sua dottrina «un empiastro religioso-etico-sociale rivelante una deficienza pressoché compassionevole». Io credo invece che sia uno degli interpreti più significativi – rapportato alle peculiarità culturali e sociali del popolo russo – della parabola storico filosofica del XIX secolo, durante il quale ci fu un inizio dedicato a un rinnovamento religioso che si è piano piano affievolito per poi riprendere forza al tramonto del secolo stesso. Abbiamo quindi in apertura del secolo Chateaubriand, Hugo e Lamennais in Francia, Byron, Scott e Shelley in Inghilterra, Goethe e Schiller in Germania, Manzoni, Pellico, Berchet in Italia. Ma il primo e decisivo passo verso il tentativo di ricondurre all’alveo della ragione il mistero delle cose avviene con Darwin; come spesso accade nella storia del pensiero umano questo porta all’entusiasmo di poter usare come calzatoio universale una chiave di lettura specifica. Spencer studia quindi la sociologia con i criteri della selezione naturale, Comte e Littré proclamano terminata l’era teologica e l’inizio dell’era positiva, Renan abbatte l’aureola divina di Cristo. Ma contro l’eccesso di “positivismo” non tarda a manifestarsi – come logico – la reazione mistica. Balfour e Virkow tornano a parlare di misteri della natura e di misteri della religione, il romanzo – Fogazzaro, Daudet, Maeterlinck – torna ad ispirarsi a una metafisica mistica. In Russia al grido d’angoscia di Dostoevskij succede il richiamo di Tolstoj per un evangelico ritorno alla religione primitiva.
Tolstoj è un gigante immortale della letteratura, insuperabile per mettere a nudo i dolori della vita, per scoprire e abbattere i vizi e le ipocrisie. Ma quando prova a dare una svolta “positiva” all’impietoso specchio del vero da lui prospettato scivola verso conclusioni che appaiono quanto meno ingenue e puerili. Non sfugge quindi a questo schema anche il presente scritto Che cos’è l’arte? che in questo e-book riprende l’edizione del 1904, preceduta dall’interessante saggio di Enrico Panzacchi Tolstoi e Manzoni nell’idea morale dell’arte.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
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Dall’incipit del libro:
Prendete in mano un giornale qualunque; ci troverete senza fallo una o due colonne dedicate al teatro e alla musica. Due volte su tre ci troverete pure la rassegna di qualche esposizione d’arte, la descrizione di qualche quadro, di qualche statua, e per giunta l’analisi dei romanzi, dei racconti, dei versi usciti di fresco.
Il vostro giornale, con uno zelo ammirevole e con gran copia di particolari, vi esporrà come questa o quest’altra attrice abbia sostenuto la sua parte in una determinata produzione; e così potrete comprendere di botto anche il valore del lavoro, sia dramma, sia commedia od opera, e l’importanza dell’esecuzione. Sarete informati a dovere anche dei concerti; saprete quali pezzi certi artisti abbiano sonati o cantati, e in che modo. D’altro lato in tutte le grandi città siete sicuri di trovare, se non due o tre, almeno una esposizione di quadri, che coi loro meriti e coi loro difetti offrono ai critici d’arte argomento di studi minuziosi. Quanto ai romanzi e alle poesie, non passa giorno che non ne sbocci una fioritura, e i giornali si credono in dovere di presentarne un’analisi accurata ai loro lettori.

