Thucydides (Tucidide)Tucìdide (gr. Θουκυδίδης, lat. Thucydĭdes) nacque nel demo attico – piccola circoscrizione territoriale – di Alimunte presso Atene, si pensa intorno al 460 a.C. (1), dalla nobile famiglia dei Filaidi: il padre era Oloro, imparentato con Milziade. Varie notizie sulla vita di Tucidide sono opera di un tale Marcellino, scrittore, come pare, del sec. V d. C. e del bizantino Suda, autore di un famoso Lessico, composto quasi certamente intorno al 1000 d. C.. Le notizie sembrano in gran parte trattarsi di αὐτοσχεδίασμα (autoschediasmi – elementi estemporanei) estratti da pochi cenni che l’autore scrisse su di sé nelle sue storie: che da fanciullo pianse udendo una lettura di Erodoto e decise di emularlo (ma quando Erodoto cominciò ad avere fama con le sue letture, Tucidide non era più un fanciullo); che fosse discepolo dell’oratore Antifonte (lo storico tuttavia non nascose le ragioni che fecero condannare Antifonte a morte per alto tradimento); che fosse discepolo di Anassagora (ma è certo che il giovane Tucidide assimilò ampiamente la cultura che i sofisti diffondevano nell’Atene di Pericle).

Fu eletto stratega – comandante militare – della flotta di Atene nella guerra contro Sparta sul mare Egeo settentrionale. Accusato di tradimento per aver fallito la spedizione di soccorso alla battaglia di Anfipoli, contro gli spartani che minacciavano i possessi ateniesi della Calcidica, venne esiliato (o scelse volontariamente di andarsene), vivendo per vent’anni forse in Tracia. Non sappiamo con esattezza se la condanna di Tucidide fosse alla morte o all’esilio: la prima ipotesi è più verosimile ed è probabile che, deposto dall’ufficio, egli, invece di recarsi ad Atene per il processo che seguiva normalmente alla deposizione, si ritirasse nei suoi possessi traci e fosse condannato in contumacia. Se invece fu condannato all’esilio, che lo metteva al bando da tutto l’impero ateniese, gli dava comunque la possibilità di viaggiare nel territorio dei neutrali e degli amici di Sparta, così che sarebbe stato in grado di conoscere a fondo le condizioni e le forze dei nemici d’Atene. Secondo alcuni studiosi invece Tucidide rimase ad Atene, ma escluso dalla vita politica. Lo storico Luciano Canfora, nel suo Il mistero Tucidide (Milano, 1999) sostiene che Tucidide fosse presente ad Atene nel 411 al tempo del tentativo di colpo di Stato oligarchico. In seguito avrebbe lasciato Atene e si sarebbe ritirato in Tracia, dove era legittimo detentore della cosiddetta ἐργασία delle miniere (diritto di sfruttamento). Si rinvia per questo al testo di Canfora Tucidide. La menzogna, la colpa, l’esilio (Roma – Bari, 2016).

Nei lunghi anni di lontananza (oppure di permanenza in incognito ad Atene) Tucidide si dedicò alla composizione delle sue storie, che furono interrotte dalla morte, avvenuta con ogni probabilità prima del 395. Tornato in patria grazie forse ad un decreto proposto dal politico Enobio, è verosimile che sia morto qualche anno dopo la fine della guerra peloponnesiaca (404 a.C.). Comunque, egli visse in Atene sotto la democrazia restaurata e si occupò con costanza e passione al compimento delle sue storie. La morte lo colse mentre era in pieno fervore di lavoro. Alcuni studiosi sostengono che morì per malattia, altri che fu assassinato o in Tracia o dopo il ritorno in Atene o nel viaggio. L’unica testimonianza certa è la brusca interruzione del libro.

Alla sua unica opera, la Guerra del Peloponneso, l’autore non diede titolo né divisione in parti. Nei manoscritti medioevali giunti a noi è divisa in 8 libri. Tuttavia le fonti antiche sembrano indicare suddivisioni diverse e da questo gli studiosi contemporanei hanno ipotizzato che il disegno originario dell’opera prevedesse una diretta corrispondenza fra anni di guerra e libri, ad eccezione del primo – comprendente l’Archeologia e gli antefatti della guerra. L’opera costituisce un analitico resoconto del conflitto che oppose fra il 431 a.C. e il 404 a.C. Sparta ed Atene, le due massime potenze greche, entrambe in competizione per il predominio sulle poleis dell’antica Grecia.

Attraverso l’analisi del formarsi dell’opera di Tucidide – alla quale si sono dedicati molti insigni studiosi – è possibile percepire il processo per cui la storiografia greca superò a grado a grado la maniera erodotea. Mentre Erodoto aveva elaborato la sua indagine storica a partire dai miti della antichissima pseudostoria fino a giungere alle vicende recenti, Tucidide, considerando criticamente il passato, scelse di narrare gli avvenimenti contemporanei per i quali soltanto riteneva possibile l’accertamento dei fatti, anche se cercò di collocare gli avvenimenti precedenti all’interno di un flusso storico e dunque non mancano excursus riguardanti un passato anche remoto. Nella originale asserzione della totale rilevanza dell’accertamento dei fatti, possibile solo se questi sono contemporanei, sta la grandezza dell’opera di Tucidide. Oltre a questo, egli ha cercato – peraltro non sempre con successo – di scoprire il nesso tra gli avvenimenti, individuandone il posto nello sviluppo storico. La sua è forse la prima narrazione storica di avvenimenti contemporanei e la prima vera narrazione storica dell’Occidente.

Tucidide, nel suo lavoro di storico, ebbe un fine pratico: offrire agli uomini ammaestramenti utili per il futuro. Pertanto egli rappresentò i fatti nella loro concretezza e superò la visione frammentaria e cronachistica con una poderosa visione unitaria, riportando le vicende minori solamente in quanto indispensabili a chiarire i fatti di guerra narrati. Egli diventò dunque il creatore di una storiografia rivolta prevalentemente alla narrazione e spiegazione degli eventi politico-militari, meno interessata agli aspetti di storia del costume e delle tradizioni dei popoli.

La sua visione della politica e delle sue regole è contenuta nell’intimazione di resa che gli Ateniesi rivolgono ai Meli:

«Ella è opinion da tutti abbracciata che e Dii e mortali spinti sieno da una certa e propria loro natura a signoreggiare coloro cui soverchian di forze. Legge è questa che noi non fummo i primi a bandire, nè i primi adoperammo. Ella, come a noi venne dagli avi, andrà per noi a’ posteri più remoti, nè ci corre per mente il menomo dubbio che quel di Melo o qualunque altro popolo non profitterebbe di lei, se alla nostra possanza aggiugnesse.» (Thucydides, Delle guerre del Peloponneso. Libro V. Trad. Pietro Manzi. Milano, 1830-32)

Nonostante per lo storico la centralità dell’uomo fosse indiscutibile, tuttavia egli riconobbe che l’azione umana possa essere ostacolata dall’intervento della Tyche (Τύχη), della Fortuna, la variabile drammaticamente imprevedibile legata agli eventi terreni, che impedisce agli uomini di dominare il futuro.

Una innovazione storiografica sono anche i discorsi (famosi quelli di Pericle), introdotti dall’autore con l’intento dichiarato di tenersi il più possibile aderente alla realtà dei fatti: ma sono probabilmente tentativi di chiarire a sé stesso e al lettore le ragioni profonde e i moventi delle azioni dei capi in guerra. Lo storico Felix Wassermann nei Neue Jahrbücher für Wissenschaft und Jugendbildung (Nuovi annuari per la scienza e l’educazione giovanile, 1931. p. 248-249), mette in luce il ruolo svolto, nella realtà della vita politica, dai discorsi riportati da Tucidide in quanto mezzo di conoscenza e di azione, sostenendo che l’opera di Tucidide sia scritta da un uomo politico per uomini politici, che riflettono sulla politica e che prendono parte alle azioni dello Stato.

Pur proponendosi obiettività ed imparzialità nel suo lavoro, a tratti la concezione politica di Tucidide emerge con chiarezza: ammiratore di Pericle, che seppe contenere il potere del popolo (demos) entro limiti tali da configurare un regime che fu «Così al di fuori il governo della città pareva democrazia, ma dentro era veramente al freno di un solo principe.» (Thucydides, Delle guerre del Peloponneso. Libro II. Trad. Pietro Manzi. Milano, 1830-32), egli elogiò il regime oligarchico instaurato nel 411 a.C. e in generale si mostrò ostile nei confronti dell’incostanza del popolo, secondo la più conservatrice concezione aristocratica. Certo è che Tucidide fu indubbiamente figlio della sua società, membro di una ricca e potente famiglia ateniese.

È da sottolineare che la figura e l’opera dello storico ateniese furono oggetto di particolari studi e riflessioni da parte degli intellettuali tedeschi intorno agli anni 20-30 del secolo scorso, studi volti a sottolineare soprattutto la natura di riflessione politica della sua opera, piuttosto che gli aspetti più specificamente storici e narrativi, ed a scoprire nella Guerra del Peloponneso modi di lettura e di interpretazione della situazione della Germania all’indomani della prima guerra mondiale e al sorgere del terzo Reich.:

«La moderna parabola ateniese, riscontrata nei percorsi della Germania contemporanea [degli anni 30 del ‘900], non lascia più dubbi, sulla disfatta e sulla guerra civile: lo storico di Atene può quindi diventare maestro di politica e di etica statale per chi sente mancare l’ethos alla nazione senza l’Impero.» (Paulo Butti de Lima, Tucidide fra i pensatori della politica. Anabases [Online], 8 | 2008. 1)

L’impressione che l’opera di Tucidide fece sui contemporanei fu enorme. Da allora non mancò più chi, seguendo il suo esempio, narrasse storia contemporanea e, salvo naturali eccezioni, fu largamente nota, usata e imitata da scrittori latini, come Sallustio, Tacito e Ammiano Marcellino, e greci, come Cassio Dione e Procopio.

Fonti:

Note biografiche a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS


(1) Tucidide dev’essere nato certamente prima del 454 a.C. considerando che l’età minima per esercitare la strategia era in Atene fissata a 30 anni. Non merita troppo credito la notizia antica secondo cui Tucidide sarebbe nato nel 471 a.C., perché la data in questo caso sembrerebbe dipendere dall’identificazione dell’akmé (ἀκμή) biografica dello storico (cioè del suo momento di massimo sviluppo intellettuale, fissato convenzionalmente sui 40 anni) con l’inizio della stesura della Guerra del Peloponneso (431 a.C.).

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  • Delle guerre del Peloponneso
    Libri 8
    Tucidide racconta, in questa sua monumentale opera, ciò di cui è testimone o che ha potuto verificare personalmente. Per questo il suo lavoro scientifico è importantissimo, tanto da farlo considerare universalmente il padre della storiografia.
 
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Thucydides (Tucidide)
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