Amedeo Ugolini nacque a Costantinopoli – attuale Istanbul – il 30 aprile 1896. Il nonno, romagnolo di nascita, era emigrato in Turchia per ragioni politiche ed era politicamente affine alla posizione di Felice Orsini, l’autore dell’attentato a Napoleone III. Molto difficile ricostruire le vicende biografiche di Amedeo Ugolini durante la sua adolescenza in Turchia, conoscere il tipo di scuole seguite e frequentate, le attività etc. ma è probabile che sia stato in gran parte autodidatta. Il padre si chiamava Orazio e la madre Ginevra Felici.
È certo che rientrò in Italia per assolvere i doveri militari e si trovò a combattere nella prima guerra mondiale, ma non sappiamo né con che grado né in quali località e con che mansioni svolse il suo impegno bellico. Tuttavia è certo che nel febbraio del 1917, con la guerra ancora in corso, sposò Cesira (Rina) Stamura e il matrimonio avvenne ad Ancona città natale della moglie. Dopodiché di stabilì a Bologna, forse per qualche appoggio in loco della famiglia di origine, in quanto come abbiamo visto, il nonno era romagnolo. A Bologna nacque il primo figlio Vittorio che divenne poi pittore e che ebbe in questo campo dei lusinghieri risultati. Ebbe poi altri due figli, Spartaco e Orazio. La famiglia viveva in condizioni economiche di grande ristrettezza.
Nel settembre del 1922 fondò e diresse la rivista “L’Accigliata” rassegna mensile di filosofia letteratura teatro e musica della quale uscirono tre numeri. Spicca nel N. 2 il suo articolo Il punto preciso della vertigine (impressioni orientali) nel quale fa ricorso alla sua conoscenza della Turchia per fornire affascinanti descrizioni del Bosforo.
Negli anni tra il 1920 e il 1922, oltre a iniziare a cimentarsi con l’attività della scrittura, conobbe come testimone diretto le prime violenze squadriste che a Bologna furono particolarmente violente, come la strage di Palazzo d’Accursi, che di fatto impedì al sindaco socialista Enio Gnudi e alla sua giunta appena eletta di insediarsi, e la susseguente occupazione di Bologna tra il 27 maggio e il 2 giugno 1922. Questi fatti contribuirono probabilmente al formarsi in Amedeo Ugolini di una solida coscienza antifascista.
Nel 1927 si trasferì a Chiavari e qui, frequentando gli ambienti intellettuali e antifascisti della città, iniziò a scrivere testi che cominciarono a venire apprezzati e pubblicati da riviste ed editori. Il suo primo romanzo è Il carro dei folli, pubblicato da Corbaccio nel 1929. Insieme alle novelle di Betti sono queste prime esperienze di Ugolini nel romanzo ad aprire la strada per il cosiddetto realismo narrativo. La maturazione successiva avvenne al momento della guerra di Spagna; Ugolini avrebbe voluto partecipare come inviato di guerra e e si mise in contatto con il Partito Comunista al quale aderì nel 1937. È da sottolineare che Ugolini, ormai noto in ambito letterario e vincitore di premi (esempio il premio Foce nel 1934) avrebbe potuto sfruttare la sua posizione per ottenere vantaggi dal regime. L’adesione al Partito Comunista maturò nell’ambito della frequentazione già accennata con l’ambiente antifascista ligure che vedeva tra i suoi interpreti tra gli altri Spartaco Muratori, Giovanni Serbandini, Emilio Laguzzi, tutte persone che avranno poi un ruolo nella Resistenza in Liguria. Fu durante la guerra di Spagna che quel gruppo antifascista passò ad intrattenere contatti più stretti con la rete clandestina dei comunisti. Per questo il desiderio di Ugolini di partecipare direttamente in qualche modo alla guerra di Spagna naufragò di fronte all’esigenza del Partito Comunista di sfruttare le sue doti di scrittore e giornalista a Parigi e, dopo un primo viaggio nella capitale francese a luglio del 1937, vi si trasferì definitivamente poco dopo entrando nella redazione di “La voce degli italiani”. In questo giornale divenne responsabile della terza pagina letteraria firmandosi con lo pseudonimo di Aldo Bruti. Solo nel 1939 l’Ovra accertò l’identità di Aldo Bruti (altri pseudonimi usati furono Bertoldo e Jorano). La direzione del giornale era di Egidio Gennari e Luigi Campolonghi e dopo un breve periodo passò a Giuseppe Di Vittorio. Gli articoli a firma Bertoldo – pseudonimo che faceva chiara allusione al mondo dei popolani descritto così bene in tanti suoi romanzi – erano una descrizione ironica delle difficoltà di vita del popolo italiano sotto la dittatura fascista. Il suo atteggiamento di dura opposizione al fascismo si era concretizzato anche in interventi a conferenze e convegni internazionali. Fu tra i pochi intellettuali e scrittori a schierarsi così apertamente contro il regime. Insieme a lui va ricordato ad esempio Ambrogio Donini, che scriverà un articolo in ricordo di Ugolini su “Rinascita” in occasione della morte. Proprio in questo necrologio Donini riporta la frase profetica di Ugolini sulla fine del fascismo, cinque anni prima della caduta del regime mussoliniano:
«Non confondete il popolo italiano con i suoi aguzzini: il fascismo sarà schiacciato dallo stesso popolo italiano, di cui ha ferito il senso profondo della giustizia».
Dal lato più strettamente privato, vi era il pensiero della famiglia che era rimasta a Chiavari e alle difficoltà economiche che dovevano essere affrontate, per esempio cercando traduttori per i suoi romanzi in modo da poterli pubblicare all’estero. Il rapporto con la moglie, condizionato dalla lontananza e dalle difficoltà si era certamente affievolito ed era iniziata una relazione con Elgina (Gina) Pifferi, già emigrata in Francia fin dal 1936, poco prima di Ugolini, in quanto ricercata dalla polizia politica perché di famiglia sovversiva e lei stessa “comunista pericolosa”. Al momento della dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia le loro vite si fecero ancora più dure. Il giornale “La voce degli italiani” fu chiuso e le organizzazioni politiche furono sciolte. Gina Pifferi entrò nella resistenza francese con il nome di Mireille. A gennaio del 1942 Amedeo Ugolini venne arrestato dalla Gestapo, trasferito a Innsbuck, consegnato alle autorità italiane e incarcerato prima a Roma e poi il 18 settembre 1942 a Fossano, condannato a 5 anni per associazione comunista finalizzata a sovvertire gli ordinamenti dello stato italiano. In realtà la sua residenza era già nota perché l’Ovra l’aveva potuta evincere dalla corrispondenza con il figlio Spartaco e la moglie Rina, ma è solo dopo l’inizio del conflitto che avvenne la stretta repressiva che colpì, insieme ad Amedeo Ugolini, numerosi altri emigrati del fuoruscitismo antifascista.
Le condizioni di vita per loro si erano fatte decisamente più difficili e la mancanza quasi totale di possibilità di sostentamento oltre all’ostracismo che veniva ora per gli italiani da parte dei francesi, aveva reso molto difficile anche la clandestinità. A Fossano Ugolini restò poco più di un anno. La domanda di grazia inoltrata dalla moglie Rina durante i “45 giorni” del governo Badoglio fu accolta e Ugolini uscì dal carcere il 26 agosto 1943. Il soggiorno a Chiavari fu brevissimo ed entrò subito dopo in clandestinità e già dal dicembre 1943 risultava ricercato dalla prefettura di Genova.
A Chiavari il nucleo antifascista era numeroso e subito dopo l’8 settembre 1943 venne costituito un Cnl cittadino. Troviamo Aldo Gastaldi (Bisagno), Umberto Lazagna e, tra i comunisti, Giovanni Serbandini e Amedeo Ugolini. A Favale di Malvaro, nell’entroterra chiavarese, si stava costituendo uno dei primi nuclei che daranno vita alla Divisione Cichero (dal nome dell’omonima vallata situata a San Colombano Certenoli sempre nell’entroterra chiavarese). Ugolini rappresentò il Partito Comunista nel primo Cnl ligure fino all’inizio di gennaio 1944, quando venne inviato a Torino nel Cln piemontese in sostituzione di Osvaldo Negarville. Il nome di battaglia di Ugolini fu “Sacchetti”. Lo scopo del trasferimento fu probabilmente di favorire un più stretto collegamento del Cln piemontese con il Cnl ligure, oltre al fatto che l’intransigenza di Negarville rendeva più tesi i rapporti tra il Partito Comunista e gli altri partiti che facevano parte del Cln. Ugolini-Sacchetti fu, a detta di molti, l’uomo giusto al posto giusto e al momento giusto. Fu importante la sua abilità dialettica e la sua capacità di persuasione per mediare la presenza di militari di carriera, spesso invisi alle bande partigiane che si andavano formando, all’interno del Cln e in posizione di preminenza. A questo proposito si può vedere la testimonianza del generale Alessandro Trabucchi (I vinti hanno sempre torto, Torino 1947). Anche in occasione di uno scambio di prigionieri tra i fascisti e i partigiani l’intervento di Ugolini fu tale da facilitare e propiziare l’accordo, facendo risaltare ancora una volta la sua capacità di saggia mediazione.
Il 26 aprile 1945 il Cln piemontese assunse ufficialmente i poteri di governo per la Regione Piemonte e i rappresentanti del Partito Comunista furono Giorgio Amendola e Amedeo Ugolini. In questa veste e in quella di delegato del Cln alta Italia collaborò alla formazione del governo Parri. Nel frattempo Gina Pifferi, al termine di un rocambolesco viaggio da Parigi a Torino giunse direttamente alla redazione de “L’Unità”. Questo ovviamente poneva Ugolini in un certo qual imbarazzo per la sua situazione familiare. A Chiavari non era più stato, rimandando continuamente una visita promessa alla moglie e ai tre figli. E ritrovare Gina dopo quattro anni aveva certamente rinfocolato il forte sentimento che li univa. La loro figlia Mirella nacque il 7 marzo 1946. L’imbarazzo derivava certamente anche dalle posizioni del partito Comunista sul comportamento familiare, che proprio in quei mesi si andava delineando, ponendo come punto fermo che il comunista doveva essere di esempio anche nella famiglia di cui doveva essere il difensore e che doveva diventare “l’avamposto della mobilitazione organizzativa”. Per ovvie ragioni la “famiglia” di Ugolini non aderiva affatto ai quei canoni. E Ugolini era per altro soprattutto uno scrittore e un intellettuale, poco avvezzo alla vita burocratica di partito. Alle elezioni del 1946 fu eletto nel consiglio comunale di Torino. Dalla fine di maggio del 1945 fu nominato direttore responsabile dell’edizione piemontese dell’Unità su insistente proposta di Amendola. Redattore capo era Ludovico Geymonat – ma lo sarà per pochi mesi, trasferito a occuparsi dell’attività culturale del partito – e altra figura cardine fu quella di Davide Lajolo. Tra quest’ultimo e Ugolini si creerà presto una sorta di dualismo redazionale. Nonostante i problemi a costituire una redazione e altri problemi pratici come l’approvvigionamento della carta – che obbligò a sopprimere la terza pagina fino al giugno 1946 – il lavoro di Ugolini fu egregio. Mise insieme una redazione tra le migliori e più funzionanti dell’immediato dopoguerra. La ripresa della terza pagina vide all’opera tra gli altri Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino, Sibilla Aleramo, Franco Fortini, Franco Calamandrei, Luisa Sturani. Quando chiuse Giustizia e Libertà giunsero anche Paolo Spriano e Massimo Mila.
Proseguivano comunque i dissapori legati alla figura di Lajolo e, soprattutto, al suo passato fascista. Il suo pseudonimo “Ulisse” con il quale firmava i suoi articoli su L’Unità, era lo stesso nome di battaglia che aveva assunto durante la guerra civile spagnola militando nella divisione Volontari del Littorio. Il 3 novembre 1946 Ugolini lascia comunque la direzione del quotidiano per assumere l’incarico di inviato speciale straordinario a Mosca (il ruolo di corrispondente fisso non era ancora stato istituito). Al suo posto subentrò Ottavio Pastore. Questo nuovo incarico ha i connotati di un trasferimento punitivo. Sia le sue vicende familiari che il contrasto sempre più vivace con Lajolo, oltre al fatto che la figura di Ugolini, al quale piaceva bere e fumare, contraddiceva l’immagine che il partito voleva dare del proprio militante, privo di vizi e sostenitore della famiglia.
Dal 15 luglio 1950 Ugolini si trasferì a Praga. Poté dedicarsi anche al proprio mestiere, quello di scrittore, che non aveva mai accantonato neppure negli anni più difficili. Nel 1946 pubblicò presso Einaudi il romanzo Uno come gli altri; vinse il Premio Liguria nel 1949 con Dieci poemi in prosa e il premio Macchia di Roma con Dieci soldi di tabacco. Il racconto Il ghiacciaio del 1951 vinse il premio Saint Vincent; nel 1954 vinse il premio Cinque Bettole con I racconti di Spagna e Malaga.
Da Mosca inviò una quarantina di articoli in una fase cruciale (1947-49) delle relazioni internazionali. I suoi articoli vennero spesso tagliati suscitando le proteste e i risentimenti di Ugolini; a dirimere i malintesi, anche sul piano personale, Togliatti delegò Felice Platone. Al rientro da Praga si stabilì nuovamente a Torino continuando a collaborare con la terza pagina de “L’Unità” e anche con altri giornali.
Morì il 6 maggio 1954 in seguito a una emorragia interna. La partecipazione ai funerali fu molto nutrita e sentita, come fu data grande rilevanza alla scomparsa di Ugolini sulla stampa, non solo comunista, e da parte degli organi di partito. Le orazioni funebri furono tenute da Celeste Negarville, divenuto senatore dopo essere stato sindaco di Torino, Andrea Guglielminetti, presidente della provincia, e Giovanni Serbandini. La sua compagna Gina Pifferi e la figlia Mirella, in condizioni di grave precarietà economica, furono trattate dal Partito Comunista come se non esistessero. Gina tornò in Francia dove sposò il suo ex comandante dei tempi della resistenza, l’ebreo comunista Samuel Weissberg. Sia Torino che Chiavari hanno intitolato una strada ad Amedeo Ugolini.
Fonti:
- V. Santangelo, Amedeo Ugolini Un mite intellettuale comunista. Torino, 2024.
- A. Donini, Amedeo Ugolini, in “Rinascita” n. 6 Giugno 1954.
- I. Calvino, Ricordo di Ugolini in “Realismo Lirico”, Ottobre 1954.
- I. Calvino, Ricordo di Ugolini.
https://web.archive.org/web/20080820182751/http://www.sagarana.net/rivista/numero15/saggio5.html
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
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- Il carro dei folli
Romanzo
Ipocrisia, grettezza, incapacità di raggiungere la felicità sono spesso le linee di indagine delle narrazioni ambientate nel mondo del circo e dei girovaghi. La vita nomade ed eccentrica degli artisti di strada è un valido palcoscenico per evidenziare questi temi. Anche in questo romanzo ci troviamo quindi in bilico tra farsa e dramma, tra allegria e disperazione.