Alessandro Varaldo nacque a Ventimiglia il 25 gennaio 1876; il padre Giuseppe era savonese, e la madre Eugenia Rolando ventimigliese.
Frequentò le elementari nel Collegio delle Scuole Pie a Savona; secondo la sua stessa testimonianza lesse verso i sette-otto anni l’Amleto, suscitando la preoccupazione del maestro e inducendo il padre a indirizzarlo verso letture più consone alla sua età. Al ginnasio a Ventimiglia ebbe come insegnante Dante Cattani già allievo di Giosuè Carducci. Frequentò poi il liceo Cassini di Sanremo, dove ebbe come insegnante di letteratura italiana Luigi Gualtieri.
A 17 anni aveva già scritto alcuni drammi in versi e in prosa e, poco dopo, iniziò la collaborazione a varie riviste. La sua prima pubblicazione in assoluto fu un sonetto che la rivista fiorentina “La Bohème” pubblicò in prima pagina. Questa sua prima pubblicazione fu firmata con lo pseudonimo Aldo Dorval.
Dopo il diploma si trasferì a Genova con la famiglia dove si inserì subito negli ambienti culturali locali; fondò con Malfettani, Giribaldi, Baratono e altri la rivista “Endymion” promotrice della poesia simbolista. Dopo nove numeri la rivista non riuscì a sopravvivere e Varaldo divenne collaboratore della “Gazzetta del Popolo della Domenica” settimanale torinese diretto da Augusto Berta. In questo periodo la sua attività contribuì a rinsaldare i rapporti tra gli ambienti culturali torinesi e genovesi.
Nel 1897 pubblicò con una piccola casa editrice di Bordighera il 1° libro dei trittici insieme a Alessandro Giribaldi e Mario Malfettani. Varaldo divenne quindi redattore del quotidiano genovese “Caffaro”, e su questo giornale tra il 6 luglio e il 9 novembre 1898 pubblicò il suo primo romanzo I Signori di Nervia, che, rielaborato, sarebbe poi confluito nel romanzo del 1921 I cuori solitari, secondo della trilogia ventimigliese dopo Il Falco.
Il primo suo lavoro di prosa in volume fu nel 1898 La principessa lontana, una raccolta di quattro novelle. Fece seguito un poema in sonetti Marine liguri. Dopo un saggio critico sul poeta Hégésippe Moreau (Per un poeta della vecchia scuola), ebbe successo editoriale nel 1900 con il romanzo Due nemici più volte ristampato fino agli anni ’30 da Mondadori.
Fin dai suoi esordi emerge come caratteristica evidente il suo grande eclettismo che gli consentirà di spaziare tra i generi letterari e tra prosa poesia e teatro con grande disinvoltura. Se vogliamo cercare un filo conduttore nella sua opera questo va eventualmente trovato nello sfondo quasi sempre presente ispirato da ambienti liguri con predilezione per Ventimiglia.
L’esordio con la scrittura teatrale fu nel 1901 con la commedia Diamante o Castone; nonostante il buon successo Varaldo non diede subito seguito alla sua attività nell’ambito del teatro fino al 1906, quando cominciò l’attività di critico teatrale per il “Corriere di Genova”, giornale con il quale collaborava fin dal 1903. Nello stesso 1906, anche sollecitato dall’attore Virgilio Talli, scrisse La Conquista di Fiammetta che andò in scena al Politeama Margherita 19 ottobre 1906 ma fu un insuccesso nonostante la presenza di attori di nome come il già menzionato Talli e Lyda Borelli. Forse demoralizzato per questo insuccesso, negli anni seguenti rallentò momentaneamente la sua oceanica produzione letteraria dedicandosi prevalentemente al giornalismo e all’attività di traduttore, producendo la prima traduzione italiana di Paradoxe sur le comédien di Denis Diderot pubblicata nel 1909.
Nel 1910 scrisse la commedia L’altalena, che, forse più attenta alle esigenze di divertimento del pubblico, ebbe un discreto successo e godette di una quasi immediata traduzione in spagnolo. A questo punto fu il giornalismo ad essere parzialmente accantonato in favore di un più compiuto impegno nella carriera letteraria. Il teatro lo occupò per quasi tutto il decennio ’20-’30 durante il quale scrisse anche la commedia Appassionatamente che ebbe un discreto successo nonostante la stroncatura di Gramsci dalle colonne dell’“Avanti!” che imputa al Varaldo un «sentimentalismo rugiadoso della moralina democratica». L’attività di commediografo di Varaldo si consolida quindi con la direzione del quindicinale “Comoedia”.
Nel 1920 Varaldo iniziò ad essere stabilmente pubblicato da Mondadori e divenne direttore generale della Società Italiana Autori ed Editori; D’Annunzio ebbe nello stesso anno la presidenza onoraria. Nel 1926 entrò in vigore la legge sul diritto d’autore fondata su un progetto dello stesso Varaldo, il quale certamente, nei difficili anni iniziali del ventennio fascista, si seppe comunque destreggiare abilmente in un ruolo nuovo e insolito, divenendo punto di riferimento per molti letterati e professionisti del teatro.
Tuttavia non mancò il dissenso interno e nel 1928 dopo varie accuse di conduzione affaristica dell’Associazione fu costretto ad abbandonarne la direzione. Certamente non era estranea a questa decisione la tendenza del regime ad accentrare ogni posto di direzione nelle mani del partito; infatti Varaldo fu sostituito da un gerarca. Questo nonostante l’atteggiamento di Varaldo nei confronti del fascismo non fosse certo ostile in quegli anni. Infatti, lasciata la SIAE, entrò nel Gruppo dei Dieci di Marinetti, apertamente fascista sin dal suo atto costitutivo. Con i Dieci pubblicò nello stesso 1928 l’epistolario enciclopedico Approcci e nel 1929 il romanzo sperimentale e collettivo Lo zar non è morto.
Nel 1933 Varaldo divenne direttore della collana “Romanzi di cappa e spada”, e nel ’37 per breve periodo fu direttore del giornale satirico “Settebello”.
Fu il primo autore italiano ad essere pubblicato nella collana dei “Gialli” Mondadori: il n. 21 della collana fu infatti Il sette bello, che non è certo il primo poliziesco italiano, ma certamente il primo ad avere un avallo “di genere” così importante. Complice di questa scelta la disposizione del regime fascista che voleva che ci fosse almeno un italiano nel catalogo di questa collana di gialli. Varaldo pensò quindi la figura del commissario Ascanio Bonichi. Il successo di questo primo suo “giallo” lo indusse a proseguire su questa strada e ne pubblicò complessivamente otto fino a Il tesoro dei Borboni del 1938 e fu importante per aprire la strada del genere giallo e investigativo ad altri autori italiani (nel 1932 infatti pubblicarono anche Alessandro De Stefani e Arturo Lanocita). Sua caratteristica fu di non indulgere mai nell’imitazione di clichés anglosassoni ma di mantenere il suo stile, che era abbastanza solidamente ancorato a modelli ottocenteschi.
Ma negli anni ’30 il regime fascista mise nel mirino la produzione giallistica, che era troppo marcatamente di stampo anglosassone e che era giudicata immorale. Queste ingerenze erano cominciate da tempo con indicazioni su come doveva essere la trama – il colpevole non doveva essere italiano e in ogni caso doveva essere catturato e punito – e con lo scoppio della guerra la stampa di libri gialli fu definitivamente sospesa. Forse furono questi fattori che acutizzarono l’allontanamento di Varaldo dal fascismo; certamente il controllo opprimente non era da lui accettato. All’indomani della guerra, nel 1947, scrisse un articolo pubblicato su “Giornale d’Emilia” – Tragico e buffo figuro Mussolini visto da Senise – dove la figura di Mussolini viene attaccata in maniera feroce, ma è certo che l’insofferenza di Varaldo proveniva da molto più lontano anche se il suo dissenso aveva mantenuto un basso profilo.
Nel febbraio del 1944 era stato nominato “pro-commissario” dell’Accademia nazionale d’arte drammatica, in sostituzione di Silvio d’Amico attenzionato e poi incarcerato dalla polizia fascista.
Ma la sua produzione letteraria era sempre intensa e anche dopo il ’45 la sua produzione ebbe un’ulteriore impennata: pubblicò diverse raccolte di novelle e il romanzo Il mondo è piccolo. Nel dopoguerra si era trasferito a Milano.
Morì a Roma il 18 febbraio 1953. Il bilancio della sua sterminata opera annovera sessanta romanzi, trenta lavori teatrali, oltre mille novelle e l’attività di collaborazione giornalistica con ben 136 testate diverse comprese quelle spagnole e portoghesi.
Genova gli ha intitolato una via nel quartiere di Quarto.
Fonti:
- T. Pastorino-B.M. Vigliero, Dizionario delle strade di Genova, volume V. Genova 1985.
- F. Pastorino-M. Venturini, Dizionario degli scrittori liguri 1861-2007. Genova, 2007.
- L. Trovato, voce “Varaldo” in dizionario biografico Treccani vol. 98
https://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-varaldo_(Dizionario-Biografico)/ - A Ferraro, “Muy señor nuestro Alessandro Varaldo”. La ricognizione del mondo spagnolo e portoghese per riscoprire un autore italiano di successo ma dimenticato. In “Cuadernos de Filología Italiana” n. 20 Maggio 2014.
https://www.researchgate.net/publication/314377513_Muy_senor_nuestro_Alessandro_Varaldo_La_ricognizione_del_mondo_spagnolo_e_portoghese_per_riscoprire_un_autore_italiano_di_successo_ma_dimenticato - https://www.cumpagniadiventemigliusi.it/index.php/biografie/103-alessandro-varaldo
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Il 1. libro dei trittici
L’opera è una silloge di sonetti simbolisti scritta da Varaldo, Malfettani e Giribaldi, ognuno autore di tredici poesie. I versi sono quasi tradizionali; il simbolo ricorrente è il fiore; l’opera era del tutto sperimentale ma non poté, ahimè, avere un seguito. - Il chiodo rosso
Romanzo
Con la sua consueta abilità narrativa, l’autore intesse una trama avvincente e ben congegnata, ricorrendo al fascino dell’ambientazione sulla riviera ligure, a temi particolari come la “ludopatia” e la superstizione e ad una non convenzionale storia d’amore, e inserendo con garbata ironia il risultato in una ben dosata porzione di imprevedibile mistero e di suspense. - Il covo
Romanzo
La combinazione tra elementi avventurosi e tradizionali, l’ambientazione gotica, il passato non sempre limpido del protagonista contrapposto all’innocenza della protagonista, forniscono la chiave per una vivacità narrativa affascinante. Mancano approfondimenti del carattere dei personaggi ma questo non lede l’immediatezza della narrazione. - Il falco
Cronaca del 1796
Questo romanzo storico, primo di una trilogia, è ambientato nell’estremo ponente ligure tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Nel libro, abbandonandosi anche alla fantasia per dichiarato proposito ma rispettoso comunque degli eventi reali, l’autore ci offre un romanzo riuscito ed avvincente. - Le scarpette rosse
Romanzo
Anche in questo intrigante giallo, nel quale si intreccia la sorte delle scarpette rosse del titolo, a condurre le indagini è l’eccentrico commissario Bonichi, che si divide tra Roma e Milano. La scrittura di Varaldo abbina episodi insoliti e coincidenze strabilianti con un linguaggio in sintonia. - Il sette bello
Questo giallo è ambientato a Roma e dintorni. Ascanio Bonichi è un investigatore fuori dai canoni: dandy elegante e impomatato ma spesso trasandato. Rifugge dalle modernità scientifiche nelle sue indagini e ha elaborato una sua teoria del “caso” come fattore determinante per lo sviluppo e il procedere delle indagini.