Recensione di Ernesto Macinai (“Il Regno” anno II n. 13, 12 maggio 1905)

De Profundis

Audi’ sonar d’un’arpa, e smisurava
cantand’un lai onde Tristan morie.

Io ho trovato in questo libro del quale vorrei parlare oggi la soluzione desiderata a dei problemi che mi travagliavano lo spirito. Io vorrei dire come mi è possibile ora di esprimere quello che sentivo da molto tempo agitarsi oscuramente e tormentosamente nel mio spirito senza riuscire a staccarsi. Ricordo in sulla fine di una funzione religiosa, in una bella chiesa latina, quando cessano i suoni e tacciono i canti e s’estinguono i cerei, l’infinita tristezza che avvolse e penetrò il mio spirito con l’effondersi dell’ultima nota. Si svolgeva conficcata nel mio spirito come l’avvoltore sul cuore di Prometeo incatenato la tristezza della musica dileguata come se la mia vita incominciasse allora ad espandersi e soffrire. Affaticava l’essenza della musica dileguata nel silenzio e nell’ombra il mio spirito come un problema ch’io avrei voluto disceverare e afferrare come una cosa tangibile. Viveva nel mio spirito oscura e inespressa fra le sensazioni musicali la divina essenza della musica. Ma invano il mio ardore concitato ne ricercava tormentosamente l’espressione. Dopo lungo tempo questa venne a me senza sforzo, come guidata da un propizio fatalismo leggendo questo libro di G. Vannicola in cui l’anima di un grande musicista trabocca in un entusiasmo di fiamme e di vertigine.

Nè io potrei oggi, quello che pur è riuscito a staccarsi chiaramente e nettamente nel mio spirito, esprimere con più significative e più belle parole delle sue.

«Erano frasi che si svolgevano sopra una specie di monodia languida, grave, lenta, timida, piena di dolcezza e di pianto.

«Era come un sospirare d’anime preganti, come un lacrimare d’anime consolate come un lamento, un vanimento, uno struggimento, uno smorimento, terminante d’improvviso quasi per una lacrima, sopra una nota triste».

Nessuno, farà mai con più sentite e profonde parole, chiaro al nostro spirito, il mistero che lo vinse nell’ascoltazione religiosa del canto fermo, nessuno potrà mai significare con più certezza il divino inizio della divina musica. La musica sorge dal canto fermo e giunge al suo fine in Beethoven. Sembra infatti che il libro di cui parlo sia scritto unicamente, per la musica dal canto fermo a Beethoven: tutta l’altra parte non sembra che per necessità e conseguenza di questo.

Lo spirito di Beethoven è l’essenza metafisica della musica. La musica è l’arte che mediante le note intende a far dimenticare all’uomo se stesso. Con nessuna arte meglio che con la musica l’animo umano riesce a dimenticarsi ed a disperdersi nell’infinito e nell’eterno in ciò che forma la continua tendenza e la perenne necessità della vita. Ora Beethoven ha condensato nelle sue musiche tutta la musica.

Fin dal poeta primissimo chi ha sentito il suo spirito vivere della vita profonda che conferisce la musica ha veduto com’essa tenda a liberarsi da ogni rapporto con la forma dei fenomeni verso una forma astratta assoluta e completa. Beethoven è appunto colui che spezzò la forma, che, cioè, oltrepassò la forma e svelò a noi l’essenza intera della musica.

L’ismisurava del poeta antico è continuamente presente al nostro spirito, nel tempo che segue una audizione di Beethoven. Noi sentiamo in quella musica qualche cosa di più profondo di tutta l’altra musica, di più profondo e di più libero. La grande aspirazione dell’anima umana verso l’infinito questo perenne e continuo moto di desiderio continuamente scavato nella ferita sempre sanguinante dell’anima umana; questo esagerato e mai interrotto risveglio nell’uomo di tutti i suoi istinti celesti morsi dalle difficoltà della terra, non solo è passato su Beethoven, ma Beethoven l’ha condensato nelle sue musiche: sembra infatti che la musica abbia con lui esaurito il suo fine. «Beethoven è noi, alfa e omega, labaro e viatico, sogno e luce, realtà e mistero, fonte di tutto quanto noi, nascendo, ereditiamo nella vita e noi morendo raccomandiamo alla vita». Tutto ciò che l’uomo cerca nella musica l’oblio della sua parte transitoria e mutevole è espresso completamente da Beethoven: la musica di Beethoven è la musica colla iniziale maiuscola. Questo che ogni spirito religioso sente in sè udendo una musica di Beethoven è detto in questo libro con grande chiarezza.

Come dopo Michelangiolo non era possibile che la notte; dopo Beethoven è necessario il silenzio. Sembra che le arti giunte a una certa significazione debbano necessariamente morire. Beethoven è l’uomo che tratta la musica dal silenzio che precede la vita, la conduce al silenzio in cui si svolge la vita. È «l’uomo che la parola può appena avvicinare; l’uomo che avviluppato di silenzio, ispira e comanda il silenzio; l’uomo per cui il silenzio è atmosfera musicale».

Un silenzio che abbraccia tutto nelle sue profondità.

Un silenzio che non determina ma che riposa e comprende.

Un silenzio che comprende nel suo riposo le musiche che hanno aperto al silenzio orizzonti nuovi, le musiche per cui il silenzio si solleva sul silenzio e le montagne su le montagne in un infinito più infinito».

In questo silenzio è chiusa la vita e nasce e vive la musica.

Come delle grandi cose il decadere della musica non può essere che grande. Wagner è il gigante enorme che tenta violare il silenzio. Tutta la sua vita fu spesa nella ricerca di opporre un grande spirito a un grande spirito, di dare all’essenza della musica un nuovo significato. E lo sforzo del suo spirito fu immenso come la sua intenzione, ma la sua musica resta forse qualche cosa al di quà e al di là della musica oppressa forse dalla sua intenzione. I motivi della ricerca wagneriana sono espressi in questo libro ampiamente; così che mentre anche nei saggi su Schumann e Chopin, l’autore aveva riversato l’enorme ricchezza delle sue sensazioni, qui sembra attratto piuttosto dal grande spirito del musicista che dal contenuto della sua opera. Lo vince «la visone armoniosa d’un universo composto lentamente d’espansione e d’ascensione.» A traverso il dolore di Beethoven, l’angoscia di Schumann, il languore di Chopin, la ricerca di Wagner, coglie «il respiro d’una grande anima sotto le apparenze varie, il grido terribile di una sola voce che grida dai luoghi profondi dal più profondo dell’abisso, De profundis clamavi ad te.» È il grido dell’anima umana che cerca liberarsi dalle cose transitorie e mutevoli: attraverso quelle forme musicali d’imperitura bellezza.

Nella vastità dell’agro Romano, la melodia che unisce in una forma cristallina quelle note disperse appare chiara al suo spirito, col destino imperituro di Roma. E in meravigliose pagine di poesia descrive il fluire e il confluire dell’umanità da Roma in Roma, come la vita dal silenzio al silenzio.

Se è possibile l’amore sterile delle altri arti la critica musicale non ha valore. E facilmente ognuno se pur riuscirà a delinearsi fra le pagine musicali e belle un sistema di costruzione filosofica, si accorgerà che l’autore non ha voluto fare una critica musicale, ma offrirci le sue innumeri sensazioni di musicista grande.

Ornano l’edizione stampata con seri intenti d’arte sette disegni di Giovanni Costetti.

Il ritratto dell’autore disegnato con forte violenza, quasi percosso dall’entusiasmo violento del libro, una figura di Donna Olga de Lichnizki pervasa dalla sottile malinconia di un’anima femminile, vissuta sempre fra la musica; cinque disegni in cui sembrano per un inatteso prodigio di artista rese visibili le sensazioni del musicista chiare allo spirito.

Dalla recensione di Giovanni Papini (“Leonardo” anno III seconda serie aprile 1905)

In questo libro c’è ancora della lirica, c’è ancora del romanzo, ma c’è di più. C’è il tentativo di fondere la critica e la filosofia e la teologia in una specie di sublimazione poetica e musicale, ove l’unità è data dall’anima che la compie. La prosa di Vannicola non è una prosa poetica ma piuttosto una prosa musicale: i crescendi, i leit-motiv, i ricami tematici vi hanno grandissima parte. E appunto perché è una prosa musicale tende più a suggerire che a dire.

NOTA: Si ringrazia la Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia per aver concesso la riproduzione del volume.

Dall’incipit del libro:

Ho gridato dai luoghi profondi. Ho gridato verso te dal profondo dell’abisso. Esaudisci, o Signore, il grido della mia supplicazione. Through Death and Birth, to a diviner day . A traverso la Morte e la Resurre zione, verso un giorno più divino. La parola di David e la parola di Shelley, pur così lontane nel tempo e nello spazio, convergono meravigliosamente in una stessa essenza metafisica per esprimere l’essenza metafisica della Musica.
Ho gridato dai luoghi profondi, dal più profondo dell’abisso, perchè se il mio grido si fosse levato dalla superficie della terra, i culmini della terra lo avrebbero arrestato, ed esso non avrebbe potuto squarciare la nube e perdersi nell’abisso profondo del cielo. L’abisso invoca l’abisso.

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titolo:
De profundis clamavi ad te
titolo per ordinamento:
De profundis clamavi ad te
descrizione breve:
"In questo libro c'è ancora della lirica, c'è ancora del romanzo, ma c'è di più. C'è il tentativo di fondere la critica e la filosofia e la teologia in una specie di sublimazione poetica e musicale, ove l'unità è data dall'anima che la compie."
autore:
opera di riferimento:
De profundis clamavi ad te / G. Vannicola. - [Firenze : Stab. tip. della Biblioteca di cultura liberale, 1905]. - 110 p. : ill., 2 ritr. ; 22 cm.
licenza:

data pubblicazione:
3 settembre 2007
opera elenco:
D
descrittore Dewey:
Narrativa italiana (sec. 20.)
soggetto BISAC:
CORPO, MENTE E SPIRITO / Generale
FICTION / Psicologico
MUSICA / Generale
FILOSOFIA / Generale
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
impaginazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
pubblicazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
revisione:
Paolo Oliva, paulinduliva@yahoo.it