Contiene lo scritto “La sanguinosa settimana del Maggio ’98”, “L’assalto al convento”, “Dal cellulare a Finalborgo” e altri testi connessi alle giornate del maggio ’98 a Milano e alla successiva detenzione e ai compagni di carcere.
Dall’incipit del libro:
Era venerdì. S’andava via per l’atmosfera tepida come tanti punti interrogativi. Gli uni guardavano in faccia agli altri e tutti sentivano dell’inquietudine dell’Italia agitata dalla fame. Pavia come Sesto Fiorentino e come Soresina, aveva avuto i suoi ciottoli innaffiati dalla strage militare . Il povero Muzio Mussi, il figlio del vice presidente della Camera, era stato tramazzato al suolo a ventitre anni e la notizia angosciosa, propalata dai giornali, passava sui nervi della cittadinanza come una scarica d’indignazione. In mezzo alle piazze, lungo le vie, si temeva e si presentiva la fucilata. La conversazione sentiva del momento. Era una conversazione animata, concitata, che lasciava udire un po’ della campana a martello. La gente parlava a monosillabi tragici, coi gesti che facevano sobbalzare il pensiero, con l’atto finale della mano in aria che traduceva l’impotenza e la minaccia. Nei sobborghi, dove è più fitta la popolazione operaia , sarebbe bastata un po’ di retorica calda per mettere sottosopra il sangue cittadino che spumeggiava nelle vene. Con tanta irritazione che si andava accumulando per i quartieri di ora in ora, a ogni telegramma che annunciava che il governo curava, dappertutto, lo stomaco vuoto con la balistite, Milano avrebbe avuto bisogno di uomini prudenti che avessero saputo, con dolcezza, togliere e non aggiungere combustibile alla catasta che aspettava lo zolfino.


