L’opera di Virgilio qui pubblicata è stata tradotta da Giuseppe Albini (1863 – 1933).
Dall’incipit del libro:
L’armi e l’uom canto che dal suol di Troia primo in Italia profugo per fato alle lavinie prode venne, molto e per terre sbattuto e in mar da forza ei de’ Celesti per la memore ira de la crudel Giunone, e molto ancora provato in guerra, fin ch’ebbe fondata la città e gli Dei posti nel Lazio, onde il Latino genere e gli Albani padri e le mura de l’eccelsa Roma. Musa, le cause narrami, per quale sfregio a sua deità, di che dogliosa, la Regina de’ Numi un uom costrinse di pietà sí preclaro a correr tante vicende, a incontrar tanti travagli: e son sí grandi in cuor divino l’ire? Antica città fu, gente di Tiro la possedé, Cartagine di fronte a Italia lungi ed a le tiberine bocche, opulenta, acerrima guerriera: cui frequentar dicevano Giunone piú che ogni altro paese e Samo istessa; quivi fur l’armi sue, quivi il suo carro, e che quello, assentendolo i destini, divenisse l’impero de le genti, fin d’allora la Dea studia e vagheggia. Però che udito avea, dal troian sangue scender progenie che le tirie ròcche rovescerebbe un dí; che quindi largamente un popolo re, superbo in guerra, moverebbe a rovinade la Libia: cosí volger le Parche.


