Vincenzo Fani Ciotti nacque a Viterbo il 23 maggio 1888. Il padre era il conte Fabio Fani Ciotti, patrizio romano, Cavaliere di Malta, cameriere segreto di Spada e Cappa di sua Santità; la madre era la contessa Maria Martuzzi.
Iniziò il suo percorso scolastico presso il collegio dei gesuiti di Villa Mondragone e seguitò poi all’università La Sapienza di Roma laureandosi in legge nel 1913 con una tesi di filosofia del diritto intitolata La concezione realistica dello Stato.
Affascinato dalla figura di don Romolo Murri, fu vicino alla prima Democrazia Cristiana, ma se ne staccò ben presto e fin dal 1911 fu attivo negli ambienti studenteschi militando nelle file dell’Associazione Nazionalista Italiana di Federzoni e Corradini: fu presidente del Gruppo giovanile nazionalista romano, partecipando alla lotta dei due summenzionati contro il “blocco radicale-massonico” e “capitolino” culminata con l’elezione di Federzoni alla Camera dei deputati nel 1913. Tale “blocco” veniva identificato da questa destra nel sindaco di Roma Ernesto Nathan, mazziniano che fu sindaco dal 1907 al 1913. Il “blocco” che lo sosteneva era formato da socialisti riformisti, radicali, liberali di sinistra, ma Nathan era stato in anni precedenti Gran Maestro dell’Oriente d’Italia e da qui scaturì la definizione di “blocco radical-massonico”. In questo periodo comparvero sul settimanale “L’Idea Nazionale” i primi scritti di Vincenzo Fani. Il primo è del 20 giugno 1911 intitolato Masochismo nazionale.
Tra il 1914 e il 1915 fu attivo interventista partecipando attivamente alle attività di piazza e ai comizi. Non potè però essere soldato in quanto era già stato assalito dalla tubercolosi, diagnosticata fin dal 1912, che l’avrebbe condotto a morte precoce. Invece del fronte fu costretto alla residenza in località dal clima marittimo. Questa restrizione lo condusse però ad approfondire gli studi letterari, filosofici e storici.
A Viareggio conobbe Marinetti che si trovava nella località della Versilia in licenza di convalescenza. Questo contatto lo avvicinò al movimento futurista, del quale tuttavia non condivideva l’ostentata ostilità per la tradizione, che al contrario sentiva come propria e intendeva valorizzare e valutare attentamente. In questo ambito di ricerca intellettuale pubblicò una raccolta di poesie parolibere e sintesi teatrali, Archi voltaici, e da questo titolo dedusse il proprio pseudonimo Volt che sostituì la sua precedente firma – Vincenzo Fani – e che mantenne anche in seguito. Archi Voltaici è oggi considerato uno degli esempi più significativi dell’esperienza “parolibera”. Il clima mite della Versilia aveva frattanto giovato alla sua salute consentendogli di preparare gli esami per l’accesso alla carriera diplomatica, superati i quali fu nominato viceconsole a Nizza dove rimase fino al 1919. Entrò a far parte della cosiddetta “Pattuglia azzurra” (vedi Maria Ginanni in questa biblioteca Manuzio), fu promotore dei manifesti detti dell’Architettura dinamica (La casa futurista e Del funambolismo obbligatorio o Aboliamo i piani delle case); partecipò anche alla stesura del Manifesto della moda femminile futurista. Fu collaboratore di “Roma Futurista” organo del Partito Politico Futurista con articoli decisamente poco allineati persino col futurismo stesso, ad esempio Matrimonio, adulterio, divorzio, amore libero sul n. 29 del 1919.
Il 25 agosto dello stesso anno scrisse una lettera aperta a Mussolini, allora direttore del “Popolo d’Italia” nella quale lo salutava come «designato a salvare la Nazione e lo Stato dalle estreme rovine» invitandolo a farsi promotore dell’unione e della sintesi delle forze «ancor sane» sotto le insegne del fascismo nascente. Per sconfiggere i partiti clericale e socialista è necessaria l’unione di tutti gli interventisti «dal più reazionario dei nazionalisti al più rivoluzionario degli anarchici». Era già iniziata la sua ricerca della “personalità forte” che individuava appunto in Benito Mussolini (al quale è infatti dedicato il suo romanzo del 1919-1921 La fine del mondo). Il 13 dicembre comparve sul quotidiano il suo articolo Sindacalismo politico e libertà e da quel momento Volt rappresentò sulle colonne del “Popolo d’Italia” quella destra integrale dedita alla salvaguardia della monarchia, del cattolicismo, della tradizione intesa soprattutto come reazione intransigente a ogni fermento di cambiamento sociale. Per queste ragioni il suo futurismo appariva in realtà abbastanza esteriore e formale, ma era utile per sdoganare le sue convinzioni religiose e sociali anche in ambienti che istintivamente le avrebbero rigettate.
Quando Giuseppe Brunati diede vita al settimanale il “Principe” – che insieme ad altre iniziative editoriali dello stesso Brunati ebbe influenza non trascurabile per determinare l’orientamento dinastico e lealista del fascismo in preparazione della Marcia su Roma – Volt fu tra i più attivi collaboratori. Quando Mario Carli ed Emilio Settimelli fondarono a Roma il quotidiano “L’Impero”, il cui primo numero uscì l’11 marzo 1923 e che rappresentava la componente più integralista del fascismo, Volt si schierò con loro e ne divenne anche in questo caso assiduo collaboratore. Nello stesso periodo collaborò anche con saggi di sociologia e brevi articoli di critica letteraria e artistica con “Gerarchia” e “Critica fascista”.
Nel 1924 pubblicò per i tipi de “La Voce” Programma della destra fascista nel quale tratteggia quelle che secondo il suo pensiero sono le forze storiche che danno vita agli elementi di programma sui quali il fascismo fonda le sue ragioni. Per Volt “destra” non è una collocazione parlamentare a difesa di posizioni conservatrici e degli interessi di una casta economica. “Destra” significa per lui – che ne ha una visione elitaria e aristocratica – monarchia, religione, gerarchia, disciplina concorde di individui e classi sociali, quindi in conseguenza diretta: eredità, famiglia, selezione, razza, dominio, impero…. Da questo consegue repressione inflessibile, anche se con spirito paternalistico, delle “turbolenze del volgo”, rifiuto sdegnato delle ragioni del “numero” e quindi smascheramento del mito bugiardo della democrazia che vede come portatrice e legittimatrice di tutti i sommovimenti a sfondo sociale, portatori di veleni e di orrori. Non è difficile percepire tra queste idee una certa precorritrice assonanza con quelle di Julius Evola che iniziava a scrivere nel 1926 i suoi primi articoli sull’“imperialismo pagano” e sulla “politica come potenza”.
Vincenzo Fani seppe esprimere in vari campi la sua capacità precorritrice degli eventi, per esempio suggerendo fin dal 1922 la soluzione del problema vaticano che sarà poi adottata nel 1929 con i Patti Lateranensi.
Minato dal suo male Volt morì a Bressanone il 22 luglio 1927.
Fonti:
- V. Fani Ciotti (Volt), Dal Partito allo Stato. Brescia 1930.
- G. Scriboni, Tra nazionalismo e futurismo. Testimonianze inedite di Volt. Venezia 1980.
- G. de Turris, Volt, il conte futurfascista, prefazione in Volt: La fine del mondo. Firenze 2003.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
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- La fine del mondo
Romanzo di fantascienza futurista
Non è sconosciuta al movimento futurista, al quale è legato l’autore, l’idea apocalittica di fine del mondo. Questo romanzo di fantascienza futurista è ambientato nel 2245 in un pianeta Terra dove il degrado ecologico e ambientale è totale, la sovrappopolazione è al massimo e le risorse energetiche stanno esaurendosi. Si fa strada l’idea dell’espansione dello spazio vitale, come unica via d’uscita.