To the Lighthouse fu pubblicato a Londra nel 1927, cioè due anni dopo Mrs. Dalloway. Rappresenta quindi, nel percorso letterario dell’autrice, il passo ulteriore verso quelle forme di espressione narrativa che potessero rientrare in quello che Lytton Strachey – con il quale era in stretto rapporto di amicizia – definiva «il punto di vista moderno». Punto di vista moderno che avrebbe dovuto corrispondere alla realtà moderna. Il racconto di Virginia Woolf si sviluppa quindi quasi con metodologia scientifica; non si limita certo a raccontare una vicenda e prende a modello le arti visive, su suggerimento dell’altro amico critico, Roger Fry, il quale – essendo a sua volta artista – le aveva fatto conoscere i pittori «postimpressionisti». Virginia Woolf aveva letto fin da giovane John Tyndall, fisico vittoriano che era amico di suo padre; il parallelo che Fry porta tra la pittura, per esempio, di Cézanne che sfuggirebbe a una forma imposta dall’esterno per rappresentare una struttura già presente dietro l’apparenza, e l’esperimento scientifico che rivela – grazie appunto a Tyndall – la fine struttura e le relazioni scoperte nei cristalli, viene esteso da Virginia Woolf all’esperienza letteraria. Queste esplorazioni si riscontravano già in alcuni racconti (Crociera, Notte e giorno) e prendono poi corpo nel racconto propedeutico al romanzo Mrs Dalloway in Bond Street. Se si legge prima il racconto e poi il romanzo si avvertono molto bene i passaggi tra il racconto “impressionista” e il romanzo “postimpressionista”. L’universo del quale intravedere la struttura e privo di un «motore primo» viene poi compiutamente realizzato in questo Gita al faro. Nel saggio Momenti di essere Woolf scrive:
«Ma non esiste nessuno Shakespeare, non esiste nessun Beethoven; certamente, assolutamente, non esiste nessun Dio; noi siamo le parole; noi siamo la musica; noi siamo la cosa stessa.»
Per realizzare questo progetto letterario la scrittrice soddisfa la propria esigenza di guardare al proprio passato e in particolare agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, con una maturità serena e neutrale. È in questo romanzo che prendono forma direi definitiva le peculiari caratteristiche della sua narrativa. Nessuna trama complessa e articolata ma attenzione – tutt’altro che estremizzata e ossessiva – alle emozioni e all’interiorità, indagine e ricerca psicologica dei personaggi, soprattutto di quelli femminili, rimanendo però lontana da un’adesione pedissequa e frastornante agli stereotipi del periodo.
Il romanzo è diviso in tre parti: The window (La finestra), Time passes (Passa il tempo), The Lighthouse (Il faro). Nella prima parte i coniugi Ramsey sono in vacanza alle isole Ebridi con gli otto figli e numerosi ospiti. I coniugi Ramsey sono rimodellati sulla base di quanto la scrittrice ricorda dei propri genitori. La signora Ramsey è dotata di un’intuizione particolare e quasi misteriosa che le consente di comprendere le intime pulsioni delle persone che le stanno attorno, mentre il marito autoritario ed insicuro è in cerca di elogio, approvazione e continue conferme del proprio “valore”. Tra i personaggi principali incontriamo Lily Briscoe, pittrice che si strugge nel non riuscire a portare a termine un dipinto che le starebbe particolarmente a cuore, William Bankes che di Lily vorrebbe diventare marito, Minta Doyle e Paul Rayley che invece portano a completamento il proprio fidanzamento.
Siamo all’inizio dell’autunno e la gita che la signora Ramsey si impegna a fare insieme al figlio James è posta in dubbio dalle incerte condizioni del tempo, ma, soprattutto, dai timori e speranze, conflitti e riconciliazioni suscitate dalla progettata gita e dalla previsione di tempo piovoso sostenuta con pervicace insistenza dal signor Ramsey. Cala la sera e termina la prima parte con il signor Ramsey soddisfatto per aver ottenuto finalmente l’approvazione della sua tesi da parte della moglie. La seconda parte è molto breve – pur rappresentando un lungo periodo di anni e anni di grigiore e di abbandono della casa e serve da raccordo per poter confrontare le situazioni diverse tra prima e terza parte. Veniamo a sapere della morte improvvisa della Signora Ramsey e di due dei figli, uno dei quali in guerra. Il ritorno, nella terza parte, dei superstiti sull’isola e nella vecchia casa ha ovviamente sullo sfondo uno scenario molto mutato. La gita al faro si farà ma sotto il peso dei ricordi assumerà un significato molto diverso. La presenza della defunta signora Ramsey è tuttavia percepibile e la avverte soprattutto Lily Briscoe che riuscirà a portare a termine il quadro rimasto incompiuto anni prima proprio perché non riusciva a trovare collocazione per la signora Ramsey e il figlioletto James. Lily giunge quindi a fissare sulla tela l’eterno fluire della vita sintetizzando le due prospettive: quella magica-femminile e quella fattuale-maschile dell’ordine. Questo cogliere l’essenza della vita da parte dell’arte astratta (il quadro viene ultimato con una linea al centro) corrisponde alla concezione che Woolf ha del romanzo e che in estrema sintesi abbiamo cercato di delineare più sopra e che proprio in Gita al faro viene compiutamente dominata e applicata. La realtà esteriore diviene solo lo strumento di interpretazione della realtà stessa che raggiunge completezza nelle peculiarità dell’io, nelle sue proiezioni di coscienza, nella tensione dei rapporti e delle prospettive interiori.
Hans Blumemberg, in Naufragio con spettatore, identifica il significato fondamentale del mare per l’immaginario nel costituire «un confine assegnato dalla natura allo spazio delle imprese umane», una «sfera dell’imprevedibilità, dell’anarchia e del disorientamento.» È quella che definisce «acqua blu», il mondo dell’oceano aperto. Sarebbero molti gli esempi letterari che potrebbero essere posti a sostegno di queste riflessioni, da Moby Dick di Melville a Lord Jim di Conrad o Lavoratori del mare di Hugo. A me colpisce invece l’identificazione della libertà dell’acqua con quella dell’artista che Stephen Dedalus usa per colpire gerarchie soffocanti e fossilizzate e Virginia Woolf per trasgredire il formalismo del linguaggio: nella traversata in barca verso il faro il mare sorge come barriera definitiva per superare completamente gli schemi tradizionali del romanzo. Scompaiono il tempo biografico, la linearità della vicenda narrata e la convenzionale struttura della prosa.
La traduzione di questo e-book è quella di Giulia Celenza pubblicata la prima volta nel 1934 prefata da Emilio Cecchi. Rimane a tutt’oggi la traduzione di riferimento più importante per il pubblico italiano e bisognosa di pochissimi aggiornamenti oltre al ripristinare i nomi dei personaggi che negli anni del fascismo dovevano essere necessariamente italianizzati. Abbiamo utilizzato l’edizione Meridiani Mondadori del 1980.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
«Sì, di certo, se domani farà bel tempo» disse la signora Ramsay. «Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo» soggiunse.
Queste parole procurarono al suo bambino una gioia immensa, come se la gita dovesse effettuarsi senz’altro, come se il prodigio che a lui sembrava d’aver atteso per anni ed anni, fosse ormai, alla distanza d’una notte nel buio e d’una giornata sul mare, quasi a portata di mano. James Ramsay; all’età di sei anni, apparteneva di già a quella vasta categoria di gente che non può tener distinte le proprie emozioni, ma lascia che i lieti o mesti presagi del futuro annebbino quanto va realmente accadendo; e poiché per codesta gente, sin dalla prima fanciullezza, qualunque oscillazione nella ruota della sensibilità ha il potere di cristallizzare e fissare il momento su cui un’impressione diffonde ombra o splendore, il bambino, mentre sedeva in terra intento a ritagliar figurine da un catalogo illustrato dei Magazzini dell’Unione Militare, udendo le parole di sua madre, conferì alla figura d’un frigorifero incanti celestiali: e ne raggiò di gaiezza. Il carretto, la falciatrice, lo stormire degli olmi, il biancheggiar del fogliame avanti la pioggia, il gracchiar delle cornacchie, il tonfo d’una scopa nel muro, un fruscio di vesti: si coloravano, si definivano nella sua mente al punto di formare per lui un codice personale, un linguaggio segreto. Tuttavia il suo volto dalla fronte spaziosa, dai fieri occhi azzurri, impeccabilmente candido e puro sotto le ciglia, corrugantesi appena al cospetto dell’umana debolezza, appariva un’immagine di salda e inflessibile austerità; per modo che sua madre, nel vederlo guidare con mosse precise le forbici intorno alla figura, se lo immaginò, vestito di porpora e d’ermellino, a presiedere in corte di giustizia, o a dirigere un’impresa ardua e decisiva in qualche crisi della vita pubblica.

