La lotta di Nora contro l’ipocrisia delle istituzioni affonda le sue radici in necessità intricate e inesorabili. Se la volontà è libera si può diventare migliori e solo dalla volontà dipende ciò che si è. Ma le trasformazioni e i condizionamenti sociali sono ostacoli impervi per molti che perciò non riescono a dominare il proprio destino.

Rappresentare questa volontà e questa lotta in una donna fu senza dubbio in Ibsen una intuizione notevole in grande anticipo sui tempi. E questo aspetto “precursore” non potè che creare un certo disagio nella rappresentazione scenica, soprattutto in Italia, dove la crisi dei codici di comportamento della società borghese era, alla fine dell’800, di là da venire.

Questa traduzione di Capuana fu data alle stampe nel 1894, ma fu rappresentata a Milano al Teatro filodrammatico nel 1891 destando vive polemiche. Presentata come la “prima italiana” non poté non suscitare le vibrate proteste di Pietro Galletti, la cui traduzione (presente in questa stessa biblioteca Manuzio) – dalla versione tedesca di Meininger – era già stata rappresentata nel 1889 al teatro Gerbino di Torino dalla compagnia di Emilia Aliprandi e del di lei marito Vittorio Pieri. Il titolo che il Galletti liberamente attribuisce all’opera è Nora ovvero la casa della bambola. Pochi i riscontri critici dell’epoca, tra i quali quello di Giuseppe Cauda che attribuì il valore della rappresentazione all’abilità dell’Aliprandi di interpretare Nora e non certo alla qualità del copione definito “irrappresentabile in altra sede”.

In Francia Ibsen era arrivato solo nel 1890 con Spettri e questo limitava parecchio le possibilità italiane di Ibsen poiché l’ambiente teatrale italiano era solito guardare a quello francese e farne un punto di riferimento quasi assoluto. Quando il Conte Prozor tradusse in francese Casa di Bambola l’opera attrasse l’attenzione di Capuana che si risolse a portare in italiano appunto la versione francese di Prozor. Le perplessità del traduttore sono espresse anche nella sua prefazione al presente volume, e il suo tentativo di attenuare l’impatto scenico di un paio di situazioni che potevano apparire troppo scandalose al pubblico dell’epoca suscitarono però il risentimento di Eleonora Duse, che si era appassionata al personaggio di Nora, e che solo con riluttanza si rassegnò a questa “mitigazione” della caratterizzazione del personaggio.

Ma siamo nell’ambito di interpretazioni del traduttore che non inficiano il senso dell’opera. Certo la versione di Prozor appare talvolta maliziosamente più audace. Nella scena di seduzione, nel secondo atto, di Nora verso il dottor Rank, Prozor lascia intendere che le calze di seta color carne siano indossate e non tratte da una scatola e la battuta “Si, pourtant vous pouvez voir plus haut” viene resa da Capuana con “Se vedesse più alto!”. Tutta la scena è tesa nella traduzione di Capuana ad attenuare la malizia dello scambio di battute tra i due. Eleonora Duse impiegherà sette anni prima di interpretare nuovamente un personaggio ibseniano e lo farà con Edda Gabler nel 1998.

Questo tentativo di attenuazione è anche affidato alla critica dell’epoca: si cerca di riportare la determinazione di Nora a una sorta di costrizione dovuta agli eventi e non ad una sua scelta. Nora se ne va abbandonando anche i figli perché “costretta” dal fatto che non ama più il marito, non di propria iniziativa. Lo scandalo dell’abbandono doveva essere proposto alla lettura del pubblico attraverso un’ottica che potesse far intravedere una moglie delusa attenuando la portata e la irreversibilità della sua decisione.

Eleonora Duse diede corpo alla sua insoddisfazione interpretando la scena nella quale balla la tarantella con un costume da Arlecchino invece di quello previsto dagli appunti di scena.
Ma la traduzione di Capuana non appare poi così inadeguata come, anche in sede di celebrazione del centenario della morte di Ibsen, viene presentata da alcuni. Nell’ultima scena manca una battuta di Nora, (“Sarà necessario che rimanga sola se voglio rendermi conto di me stessa e di tutte le cose fuori di me. Non posso quindi rimanere più qui.”) ma sembra più una svista che un vero tentativo di censura. Ed è da ricordare che ebbe l’avallo dello stesso Ibsen che lo considerò traduttore ufficiale di Casa di bambola autorizzandolo anche ad apportare le variazioni che ritenesse opportune rispetto al copione originale.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

ATTO PRIMO
Stanza mobigliata con agiatezza e buon gusto, ma senza lusso. In fondo, a destra, l’uscio dell’anticamera; a sinistra quello della stanza di studio di Helmer. Tra i due usci, un pianoforte. A sinistra della scena un uscio e più in qua una finestra. Presso la finestra un tavolino rotondo, una poltroncina, un piccolo canapè. A destra della scena, un po’ indietro, un uscio; e al primo piano un caminetto
davanti a cui sono schierate alcune poltrone e una seggiola a dondolo. Tra il caminetto e l’uscio, un tavolinetto. Stampe alle pareti. Scaffalino con porcellane ed altri oggetti d’arte. Armadino con libri riccamente rilegati. Tappeto sul pavimento. Il caminetto è acceso. Giornata invernale.

SCENA PRIMA.
NORA, indi HELMER.
(Si sente una scampanellata nell’anticamera: un istante dopo viene aperto l’uscio. Nora entra canticchiando allegramente col cappellino in testa e col mantello, e in mano parecchi pacchetti che depone sul tavolinetto, a destra. Dall’uscio dell’anticamera lasciato aperto si vede un fattorino che porta un albero di Natale e un paniere. Li consegna alla Cameriera che ha aperto la porta).

NORA. Elena, nascondi bene l’albero di Natale. I bambini non devono vederlo prima di questa sera, quando sarà apparecchiato. (Al fattorino, cavando di tasca il portamonete). Quanto vi devo?
IL FATTORINO. Cinquanta centesimi.
NORA. Ecco una corona. Il resto è per voi.
(Il fattorino saluta e va via. Nora chiude l’uscio e continua a sorridere allegramente, mentre si leva il cappellino e il mantello).
NORA (cava di tasca un cartoccio di confetti, ne mangia due o tre, poi, in punta di piedi, va ad ascoltare dietro l’uscio dello studio di suo marito). Ah! È in casa.
HELMER (di dentro). È l’allodoletta che gorgheggia?
NORA. Sì.
HELMER. È lo scoiattolo che si dimena?
NORA. Sì.

Scarica gratis: Casa di bambola di Henrik Ibsen.