L’autore racconta con stile sostanzialmente fluido, brillante e moderno per l’epoca nella quale fu scritto, la sua vita piena di fantasmi e di paure. Attraverso uno sbriciolamento episodico, al quale troppo spesso il Geremicca si lascia andare, la narrazione prende le mosse – in maniera sostanzialmente autobiografica – dall’infanzia dell’io narratore che sin da bambino attribuisce alla realtà forme strane e bizzarre e sulla quali la fantasia costruisce leggende e timori. Solo un filo di sentimento tiene connessa la frammentazione della narrazione che prosegue a snodarsi nella stessa maniera fino alla maturità, quando ormai uomo, ancora non riesce ad andare oltre a questo suo stato di sognatore e di idealista.

Le pagine di questo romanzo attraggono, ma contemporaneamente, pur non perdendo delicatezza e stile, hanno delle lungaggini che stancano un poco in quanto appaiono inutili e ridondanti. Appare quindi più una “prova generale” che potrà prendere forma narrativa più robusta in un romanzo successivo, cosa che in effetti avviene in Commedia di Maggio. L’indizio per affermare questo viene da alcuni capitoli che colpiscono per potenza e per capacità di mezzi rappresentativi. Pur riecheggiando scene immortali da Flaubert (per esempio nei capitoli Tibutè e La Compagnia del Gallo) la tecnica narrativa risulta tuttavia originale; la maestria con la quale è descritta l’esperienza curialesca, nel capitolo Giacomo Telenio, non può non indurre al paragone con tante pagine di Čechov, maestria nell’esprimere un’interiorità e che diventa modello di efficacia. In altre pagine emerge invece la capacità poetica di Geremicca, in particolare quando viene descritta la pensierosa e vibrante solitudine dell’io narrante rafforzata nel ricordo del fratellino gemello, nato prima di lui e morto prima ancora che lui vedesse la luce. Sullo sfondo una Campania felice e probabilmente oggi dimenticata. Questi pregi non possono del tutto mettere la sordina sui difetti di leziosaggine che abbiamo già evidenziato; come opera di rappresentazione questo romanzo ha esigenze “aristoteliche” che fan parte in maniera evidente del temperamento dello scrittore ma che ne limitano almeno parzialmente la riuscita. Spesso e in diverse pagine la fantasia va troppo oltre, quasi a raggiungere l’irreale.

Il libro ha vinto il concorso 1923 della società degli Autori.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Quando cerco la più antica memoria di me stesso, mi ritrovo tremante di paura dinanzi a un mostro minaccioso. Tutto d’intorno è vago, senza linee, avvolto in ombre fluttuanti, ma io sono vivo, sebbene così piccolo che potrei nascondermi sotto una sedia; ed anche vivo, terribilmente vivo, è il mostro che balza fuori dalle ombre e punta contro di me la testa cornuta. Mi dicono che quello è un bisonte, ma essi, i grandi, che lo chiamano così, non ne hanno per nulla paura: gli voltano tranquillamente le spalle, s’appoggiano col gomito sulla sua testa incurvata, gli battono familiarmente una mano sul muso.
A poco a poco le ombre cominciano a diradarsi, ed io vedo meglio le cose. Il bisonte ha per tana una stanza a pianterreno, dove la vecchia Rosaria stira, su d’una tavola coperta da un tappeto verde, le mie camiciole e i miei grembiali. Il mostro non va in collera per ciò, ma se nella stanza entro io, spinto o trascinato da qualcuno, esso mi scorge subito e mi si volta contro, minacciandomi con le corna ritorte. A questo punto mi echeggiano nella memoria, prendendo la cara voce di mio padre, frasi come queste: Dipinto murale… Figura fatta col pennello… Al primo ricordo se ne sovrappongono altri successivi; e il mostro comincia a perdere un po’ della sua ferocia, cosicchè, pur riluttante, io lascio che mio padre mi prenda una manina e l’alzi fino a farle toccare il corpo della bestia.

Scarica gratis: I fantasmi della mia vita di Achille Geremicca.