«Il Maupassant nulla immagina, nulla inventa: quasi tutti i suoi personaggi sono realmente esistiti, hanno realmente partecipato agli avvenimenti o alle avventure in mezzo a cui l’autore li dipinge.»
Guy de Maupassant è presentato quindi, nell’introduzione, come «lo scrittore forse più schiettamente naturalista di tutta la Francia» proprio in virtù de La mano sinistra; il titolo attribuito a questa raccolta, che in senso figurato assume solitamente una connotazione negativa, non riprende quello di uno dei racconti ma è riconducibile forse alle relazioni amorose extraconiugali, spesso meramente sessuali e dall’esito infausto, che accomunano vicende ambientate nei più diversi contesti geografici e sociali.
I brevi racconti che hanno come sfondo le campagne della Normandia o i paesini di provincia francesi presentano molti tratti in comune con le opere di Zola e dei de Goncourt, conosciuti da Maupassant tramite Gustave Flaubert, suo mentore ed amico: personaggi delineati con pochi ma efficaci tratti («Il brigadiere Sénateur era molto alto e magro; il gendarme Lenient era grasso e basso», da Il coniglio); paesaggi ed ambienti descritti con realismo («la sedia rivolta con la spalliera al fuoco, il piatto, il tovagliuolo, i bicchieri, e una bottiglia di vino rosso, cominciata, e una bottiglia di vino bianco ancora intatta», da Hautot padre e Hautot figlio); dialoghi brevi in cui paratassi e lessico quotidiano rispecchiano il livello culturale dei parlanti; narrazione in terza persona senza interventi a commento dell’autore.
Lontanissimi del naturalismo sono invece gli altri racconti, e soprattutto i due ambientati in quell’Algeria che aveva esercitato un fascino irresistibile su Maupassant, spingendolo a solcarne più volte le acque con il suo yacht, Bel Ami. Egli non può guardare con distacco a questo mondo selvaggio e incontaminato, che contrappone esplicitamente alla caotica Parigi abbandonata per sempre nel 1880 assieme al monotono lavoro da impiegato ministeriale. Infrangendo i dettami del naturalismo, Maupassant passa in questi racconti alla narrazione in prima persona, e filtra storie, personaggi, paesaggi attraverso le proprie sensazioni e i propri stati d’animo. Se nelle novelle di ambientazione rusticana egli può essere accostato al nostro Verga o ai veristi, in Una sera e Alluma risente piuttosto dell’influsso di Huysmans, con il quale, assieme a Zola, aveva contribuito nel 1880 (lo stesso anno della pubblicazione del romanzo À rebours, il “manifesto” dell’estetismo) alla raccolta Le serate di Medan.
In Una sera, con la sensibilità dell’appassionato navigante e l’attenzione alle percezioni sensoriali dell’esteta (basti pensare al D’Annunzio de La sera fiesolana nell’Alcyone) coglie colori, suoni, odori di un notturno algerino in mare:
«Spesso, un granchio correva verso un buco per nascondersi, o una medusa turchiniccia e trasparente, appena visibile, fiore azzurro pallido, vero fiore di mare, abbandonava il liquido corpo alla nostra lieve scìa; poi, improvvisamente, il fondo scompariva, caduto più giù, assai lontano, come in una nebbia di vetro denso. Si vedevano vagamente, allora, grosse rocce ed alghe cupe, appena illuminate dal braciere. […]
Infatti, il braciere spargeva sul mare una pioggia di tizzoncini. Essi cadevano rossi o fiammeggianti ancora e si spegnevano con un gemito dolce, penetrante, bizzarro, talvolta simile ad un garrito, tal’altra ad una chiamata breve di migratore che passasse. Gocce di resina russavano come palle o come calabroni e morivano bruscamente, sommerse. Sembravano veramente voci d’esseri vivi formanti un indicibile rumore di vita, errante nel buio, vicinissimo a noi. […]
Il vento caldo passava in lenti soffi, pieno di odori lievi, quasi impercettibili, come se avesse raccolto, nel suo viaggio, il sapore dei giardini e delle città di tutti i paesi arsi dal sole.» (da “Una sera”)
Un mondo affascinante, colto dallo sguardo dell’esteta ma anche dell’uomo dell’età coloniale, che ammira i paesaggi ma non cerca nemmeno di comprendere gli abitanti, appartenenti per lui ad una razza inferiore, non civilizzata, più vicini agli animali che al cittadino europeo. («Da tre mesi, io vagavo sull’orlo di quel mondo profondo e ignoto, sulla riva di quella terra fantastica dello struzzo, del cammello, della gazzella, dell’ippopotamo, del gorilla, dell’elefante e del negro.», ibidem). Lo dimostra il fatto che nel descrivere gli arabi egli usi spesso similitudini e metafore prese dal mondo animale, come “occhi di sciacallo”, “fiutò come un cane”, o “animaletto nero”. (ibidem)
Attrazione e repulsione esercitate su Maupassant dall’Algeria vengono a coincidere nella visione della donna, definita “idolo”, ma anche “bestia”, che affascina con l’aspetto esotico, la spiccata sensualità e la disinibizione l’esteta alla ricerca di sensazioni nuove («Era una bestia ammirabile, una bestia sensuale, una bestia fatta pel piacere, che aveva un corpo di donna», da Alluma), ma non può farlo innamorare:
«Non l’amavo – no; – non si amano le donne di questo continente primitivo. Fra esse e noi, come anche fra esse e gli arabi, loro maschi naturali, non sboccia mai il fiorellino azzurro dei paesi nordici. Sono troppo vicine all’animalità umana, hanno un cuore troppo rudimentale, una sensibilità troppo poco raffinata, per suscitare nelle nostre anime l’esaltazione sentimentale che è la poesia.» (ibidem)
In questi racconti anche lo stile di Maupassant cambia. La prosa diviene lirica, con aggettivi ed avverbi che manifestano il coinvolgimento emotivo dell’autore, ben lontano, qui, dall’impersonalità dei naturalisti:
«Mentre il braciere spingeva fino in mezzo alle rocce la sua vivida luce, noi scivolavamo su foreste sorprendenti d’erbe rosse, rosee, verdi, gialle. Fra quell’erbe e noi, un cristallo ammirabilmente trasparente, un cristallo liquido, quasi invisibile, le rendeva fantastiche, le vestiva di sogno, del sogno che generano gli oceani profondi.» (Una sera)
I discorsi diretti si fanno più lunghi e articolati, a riflettere la complessità psicologica di personaggi colti come il protagonista di Una sera; questi, in un dialogo in cui Maupassant si limita a fungere da spalla, descrive con ricchezza di dettagli il proprio dibattersi, tormentato dalla gelosia, fra la ricerca di giustificazioni che lo tranquillizzino e la volontà di torturare la moglie per farsi confessare il suo tradimento.
Allo stereotipo della donna africana si affianca nei racconti d’ambientazione cittadina (Parigi, Marsiglia, Rouen), altrettanto rigido, quello dell’europea. I protagonisti dei racconti sono sempre uomini, giovani attratti da donne affascinanti, desiderosi di legarle a sè ma incapaci di trattenerle, che non possono fare a meno di loro, ma nel contempo le disprezzano come esseri irrazionali, in preda agli istinti. Esse, «in balìa della loro volubile sensibilità» (da Alluma), vengono condannate dai personaggi ma anche dall’autore, che invece guarda con indulgenza agli uomini che ne divengono gli amanti, purché appartenenti all’alta borghesia. Ne Gli spilli, egli cerca debolmente di prendere le distanze dai loro comportamenti («Erano vestiti coll’eleganza dubbia degli uomini che frequentano la Borsa e i salotti, che vanno dappertutto, vivono dappertutto, amano dappertutto.»), così come delega ai personaggi dei racconti le invettive più aspre nei confronti delle donne fedifraghe, ma non nasconde la sua simpatia per gli uni e il disprezzo per le altre.
Il Maupassant personaggio entra davvero in sintonia solo con intellettuali a lui affini per cultura e classe sociale, in Francia i suoi ex compagni di studi, in Algeria gli europei “dall’abito di flanella bianca” divenuti coloni. Emerge comunque da tutti i racconti una visione disincantata e pessimista della realtà, specchio della fase finale dell’esistenza di Maupassant (La mano sinistra fu pubblicata nel 1889, quando gli restavano solo quattro anni di vita), tormentato dai sintomi della malattia che di lì a poco l’avrebbe portato alla morte, in continuo movimento tra Francia ed Algeria perché incapace di aderire sia al mondo esotico che pur lo attraeva, sia alla sua società che, pur ritenuta superiore, l’aveva disgustato.
In questa edizione figurano solo otto degli undici racconti originali: mancano Le rendez-vous, la cui protagonista è stavolta una donna (anche qui però l’autore parla di «petit cœur de femme séduite, vaincue, conquise» – “piccolo cuore di donna sedotta, vinta, conquistata”), che va ad incontrare l’amante con lo stesso stato d’animo con cui andrebbe dal dentista; Le port, che rievoca la sorprendente agnizione di un marinaio sbarcato a Le Havre, Célestin, in un bordello; La morte, in cui il protagonista, dopo la scomparsa della donna amata, va a rivedere struggendosi il loro nido d’amore e poi a visitare la sua tomba, per scoprire un’amara verità…
La traduzione, del 1917, è di Decio Cinti (Forlì, 1879 – Firenze, 1954), del quale è possibile leggere la nota biografica, a cura di Paolo Alberti, nella pagina a lui dedicata. È un lavoro accurato e tuttora apprezzabile per la scorrevolezza e la modernità delle scelte lessicali, se si eccettuano i plurali in -ii, oggi usati solamente nelle parole terminanti in –io con la i tonica, e il termine “negro”, attualmente associato ad una connotazione dispregiativa e sostituito con “nero”. È riscontrabile qualche imprecisione nell’introduzione, in cui si parla di «attività letteraria di Guy de Maupassant, tutta racchiusa nel breve spazio di un decennio» (1880-1890), mentre in realtà già in precedenza Maupassant aveva pubblicato racconti su riviste (la prima novella, La Main d’écorché, era apparsa sotto lo pseudonimo di Joseph Prunier sulla rivista “L’Almanach lorrain de Pont-à-Mousson”, nel febbraio 1875); si parla di “scrittore forse più schiettamente naturalista di tutta la Francia”, motivando questa affermazione con argomentazioni meramente contenutistiche, valide solo per alcuni racconti, certamente non per tutti.
Sinossi a cura di Mariella Laurenti
Dall’incipit del libro:
Un amico mi aveva detto: «Se passerai per caso nelle vicinanze di Bordj-Ebbaba, durante il tuo viaggio in Algeria, andrai – te ne prego – a trovare il mio camerata Auballe, che è colono laggiù».
Io avevo dimenticato il nome d’Auballe e quello di Ebbaba, e non pensavo affatto a quel colono, quando un giorno giunsi all’abitazione di lui, per caso.
Già da un mese vagavo pedestramente per la bellissima regione che si estende da Algeri a Cherchell, ad Orléansville e a Tiaret. Essa è a un tempo boscosa e brulla, vasta e intima. Vi si trovano, fra due monti, profonde foreste di pini, in valli anguste nelle quali, d’inverno, scorrono torrenti. Alberi enormi caduti attraverso i burroni servono come ponti agli arabi ed anche alle liane che s’attorcigliano ai tronchi morti vestendoli di vita nuova. E in certi punti nascosti della montagna si scorgono abissi orrendamente belli, sponde di ruscelletti – piane e coperte d’oleandri – veramente incantevoli.
Ma i più cari ricordi di quella escursione mi furono lasciati dalle marce pomeridiane pei sentieri ombrosi che serpeggiano su per quelle alture, dalle quali si domina un immenso paesaggio, tutto ondulato e rossastro dall’azzurro mare fino alla catena dell’Ouarsenis, coronata dalla foresta di cedri di Teniet-el-Haad.
Scarica gratis: La mano sinistra di Guy de Maupassant.