Una delle rare incursioni dell’autore al di fuori del teatro, è questa raccolta di novelle del 1900. Le “ultime lettere” sono scritte da amanti che per una ragione o per l’altra, si trovano a dovere o volere spezzare il vincolo sentimentale che li aveva avvinti per un periodo più o meno lungo e in genere di tipo “adultero”.

Abbiamo talvolta la vista di un amore che sembra ancora vivo e fiammeggiante, al quale troviamo ovviamente di contrasto lo strazio intimo del cuore; talaltra di questo amore che fu si intravede invece solo il residuo bagliore di qualche ultima scintilla.

Le sei novelline che chiudono il volume sono anch’esse tutte all’insegna di rovinose storie d’amore nelle quali si può mettere il segno di uguaglianza tra “stupidi” e “mariti”. La gelosia sembra spesso il sentimento predominante, ma troviamo altri caratteri che sono o saranno presenti nel suo teatro: un sano buonsenso da contadino toscano, che troviamo anche nei personaggi femminili dalla moralità piuttosto elastica, come nella Giulia Savelli della novellina Il destino, non può non portare alla mente quello della Cesarina di La buona figliola.

I triangoli poi sono assolutamente immancabili – non solo nell’opera di Lopez ma in tutto il teatro italiano del periodo – e la fanno da padrone quasi ininterrottamente nel teatro di Lopez e non stupisce quindi certo di ritrovarli come motivo costante in queste Ultime lettere e novelline. Queste novelle sembrano quindi quasi una prova di possibili trame teatrali e un tentativo di affinare la foga e la violenza drammatica un po’ rozza delle prime commedie (Oriana, Di Notte, Il segreto, L’ospite) per giungere alla sobrietà rapida e avvincente delle opere più mature, come Bufere dove l’espressione della passione ardente e impetuosa si stempera nella raffigurazione di un sentimento idealizzato ancorché manierato e un po’ freddo.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della prima lettera La lettera delle lettere:

Il cavaliere Adolfo Germani a Teresa Camenis

Ho ricevuto, o gentilissima, le mie lettere. – È una curiosa cosa – sapete? – ricevere… le proprie lettere! E io, da perfetto gentiluomo… non vi rimando le vostre.
Credete ch’io voglia far dello spirito? Ohimè! non ne ho più. Nella spiritiera ce n’è appena tanto che basti per arroventare il ferro dei baffi… quel ferro – vi ricordate? – col quale Voi vi siete rifatta i riccioli, quando vi pareva che con i miei baci vi avessi “scomposto la testa”. Vedete che io ho la religione dei ricordi. E appunto per questo non vi rimando le vostre lettere sebbene Voi, senza che io vi chiedessi nulla, mi abbiate rimandato le mie.
Già, sentite, il giochetto del cambio-baratto m’è sempre piaciuto poco. L’ho avuto antipatico sino da quando andavo a scuola e portavo i calzoncini corti. – Io ti do, si diceva, una scatola di pennini e tu mi dai una nespola del Giappone; io ti do un arancio dalla buccia rossa e tu mi dai un francobollo del Chilì… – Non mi è mai piaciuto perchè non era onesto quel commercio, o, almeno, tutti e due gli scolaretti avevan l’aria di fare una eccellente speculazione commerciale e di imbrogliare il compagno. – Ora io so che ammettere per un momento solo che le mie lettere possan valere le vostre, è un delitto. E ammettere che rendervi le vostre, equivalga a pagare un debito perchè ho riavute le mie, una enormità.

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