Questa commedia, o meglio, come la definì lo stesso autore, questo “apologo in tre atti”, è tratta dalla novella Richiamo all’obbligo del 1906. L’opera è del 1919 e venne rappresentata per la prima volta a Milano, al Teatro Olimpia, il 2 maggio 1919; gli artisti appartenevano alla Compagnia di Antonio Gandusio, teatrante tra i più famosi dell’epoca. Era divenuto capocomico proprio l’anno prima e portava in scena un repertorio soprattutto di farse. Gandusio fu in particolare un interprete molto vicino alla sensibilità pirandelliana. Nella sua attività di capocomico, diresse attori notevoli tra i quali Paolo Stoppa e Nando Gazzolo.

Il pubblico sulle prime era impreparato ad una commedia dell’autore siciliano dai toni decisamente farseschi e un po’ osé. La prima rappresentazione non ebbe successo ma presto, dopo una chiara rivalutazione anche da parte della critica, il pubblico si affezionò a quest’opera tanto che divenne una delle più rappresentate della produzione teatrale di Pirandello sia in Italia che all’estero.

Il testo fu pubblicato il 10 settembre del 1919 nella rivista “Comoedia” e in volume nel 1922 per i tipi dell’editore Bemporad di Firenze, come quinto volume della raccolta Maschere nude. Ed è veramente un gioco di maschere, questo apologo: la maschera dell’integerrimo perbenismo indossata dal professore privato Paolino, che in realtà non ha avuto remore morali nel diventare l’amante di donna Assunta; la maschera della virtù che copre il volto e le grazie fascinose di Assunta Perrella, la moglie poco ‘coccolata’ dal marito, il Capitano, virtuosa madre di famiglia ma disposta agli amori con il professore; la maschera della bestia fatta vestire al Capitano Perrella, l’ombroso consorte, che ha a Napoli un’altra famiglia e un’altra donna ben meno virtuosa e le poche volte in cui incontra la moglie rifiuta, con mille scuse, di avere rapporti con lei.

La commedia, ambientata “in una città di mare, non importa quale. ‒ Oggi”, prende l’avvio con l’annuncio che è in arrivo il ‘frutto della colpa’ e bisogna porre riparo. Con tutto il cinismo che è possibile distillare dal trasparente Paolino, è necessario fare in modo che il Capitano, durante l’unica notte che trascorrerà con la famiglia prima di ripartire, sia richiamato all’obbligo coniugale in modo che, passato qualche mese, la creatura che nascerà venga riconosciuta come figlio del padre legale.

È solo l’incidente dell’inattesa maternità che scatena la reazione e spinge i due amanti a trovare una soluzione riparatrice: senza di essa tutto sarebbe potuto andare avanti senza problemi, ognuno dei personaggi continuando ad indossare la propria maschera. E alla fine la bestia è proprio il signor Paolino che, per salvare le apparenze, si adopera in tutti i modi per rendere appetibile la sua amante agli occhi del marito e ottenere che questi compia i suoi doveri matrimoniali. Pirandello denuncia, con questa commedia apparentemente leggera, una società che in piazza accetta la morale comune e nelle stanze la trasgredisce. Peraltro ricordiamo che lo stesso autore aveva definito l’opera un ‘apologo’. Dal greco ἀπόλογος cioè racconto, è un tipo di favola in cui è spiccato il senso allegorico e morale.

L’uomo, la bestia e la virtù è stata rappresentata centinaia di volte. Volentieri citiamo due edizioni.
Un adattamento particolare è quello del film del 1952 diretto da Steno, visionabile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=wQQtQKAT7Qk, nel quale il ruolo di Paolino è affidato a Totò, Assunta Perella è interpretata da Viviane Romance e il capitano Perella è Orson Welles. Tra gli sceneggiatori figura Vitaliano Brancati. La grottesca ed amara commedia è ridotta a una farsa con un lieto fine, che snatura completamente il testo ed anche l’interpretazione di Totò in certo modo esalta un aspetto esageratamente macchiettistico. Tuttavia alcuni inserti di sceneggiatura e comunque la recitazione di Totò valgono la visione.

A questo indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=-OJLJfjD1tA è possibile seguire la 220a replica tenuta nel 2008 a Teatro Valdocco di Torino, il famoso teatro Carignano essendo quell’anno in ristrutturazione. Il Carignano nel 1917 aveva ospitato la prima rappresentazione della commedia di Pirandello Il piacere dell’onestà. Con la regia di Fabio Grossi, recita Leo Gullotta nel ruolo del professor Paolino, Antonella Attili è la virtuosa signora Petrella e Carlo Valli interpreta il capitano Petrella. La produzione è di RAI Due RAI Trade. Il ruolo del professore è quasi un cavallo di battaglia della recitazione e qui Gullotta dà decisamente il meglio di sé.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

NOTA: Il testo è presente in formato immagine su “HathiTrust Digital Library”. Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (https://www.gutenberg.org/) tramite Distributed Proofreaders (https://www.pgdp.net/).

Dall’incipit del libro:

ATTO PRIMO.
Stanza modesta da studio e da ricevere in casa del signor Paolino. Scrivania, scaffali di libri, canapè, poltrone, ecc. La comune è a sinistra. A destra, un uscio; un altro in fondo, che dà in uno sgabuzzino quasi bujo.

SCENA PRIMA.
ROSARIA E IL SIGNOR TOTÒ.
Al levarsi della tela, la stanza è in disordine. Parecchie seggiole in mezzo alla scena, le une sulle altre, capovolte; le poltrone fuori di posto, ecc. Entra dalla comune Rosaria con la cuffia in capo e ancora i diavolini attorti tra i capelli ritinti d’una quasi rossa orribile manteca. Ha l’aspetto e l’aria stupida e petulante d’una vecchia gallina faraona. La segue il signor Totò col cappello in capo, collo torto da prete, aspetto e aria da volpe contrita. Si stropiccia di continuo le mani sotto il mento, quasi se le lavasse alla fontana della sua dolciastra grazia melensa.

Scarica gratis: L’uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello.