Raccolta di dodici racconti pubblicata al momento della massima popolarità dell’autore, tanto che nel corso del 1921 il libro ebbe due edizioni. Credo che sia il testo che maggiormente pone in evidenza la contraddizione, nella quale l’autore stesso si sente coinvolto, tra il fatto che il suo pubblico si attende da lui una letteratura d’evasione mentre il Mariani vorrebbe invece offrire una carica eversiva. Fin dal 1919 in Le barricate del cervello (postilla “politica” di Le smorfie dell’anima) spiegando le ragioni per le quali, secondo lui, la prosa narrativa è morta e
«intendiamo col nostro sforzo contribuire a demolire un mondo e a ricostruirne un altro»
afferma:
«Voglio che le idee stiano in primissimo piano, delle figure me ne stropiccio. Sono bambocci, mi servono, poi li caccio via».
L’insidia evidente per il narratore quando vuole perseguire questo genere di obiettivo è espressa in maniera chiara da Camillo Berneri, il quale, in “Pagine libertarie” dell’8 aprile 1922 scrive:
«Mario Mariani sarà un ottimo romanziere, ma è senza dubbio un pessimo ragionatore. Questa non è un’insolenza. È una constatazione di più delle difficoltà che incontrano gli scrittori quando vogliono giustificare con argomenti ideologici la propria opera letteraria…».
Mariani è tanto persuaso invece di aver raggiunto in questi suoi dodici racconti il suo scopo “eversivo” che per la prima volta tralascia la consueta postilla politica finale. Questo non fa che accrescere il divario tra intenzioni e risultati e evidenziare i limiti letterari dell’autore. Ma mette in evidenza altresì l’ipocrisia dell’operazione di “recupero” del suo pubblico borghese resa possibile dal fatto che la sua carica rivoluzionaria non costruisce il testo ma si esaurisce in dichiarazioni programmatiche, e l’evidente assenza di una presa di posizione di classe può quindi tranquillizzare il lettore. Ne scaturisce una qualità della scrittura e della struttura narrativa decisamente mediocre, con la parziale eccezione di due racconti – Sopravvivenze e Il Reprobo – dove se non altro si percepisce lo sforzo da parte dell’autore di costruire alcuni personaggi. Nel primo apprendiamo delle vicende di Laura Dianti, che passa dal matrimonio alla professione di prostituta, poi diviene mantenuta e sfruttata da un ufficiale, e dell’avvocato Venerio Giarda che pur prefiggendosi di accettare le infedeltà di Laura soffre enormemente dei suoi tradimenti. Nel secondo, probabilmente autobiografico – e descrivere le proprie esperienze è probabilmente quello che al Mariani riesce meglio – è narrata, in prima persona, l’avventura con la moglie di un amico. Il carattere della donna è presentato con una certa efficacia cogliendone le complessità e la sua, invero un po’ bizzarra, idea di fedeltà. La donna introduce lo scrittore in un ambiente superficiale e corrotto ma lo estromette poi da questo ambiente a causa delle idee rivoluzionarie dello scrittore stesso.
Nel complesso la raccolta appare sotto l’egida di uno stereotipo, caro all’autore ma grossolano, del marito-mostro e della moglie sgualdrina, che secondo il Mariani sarebbe funzionale per mettere in evidenza la falsità della morale borghese. Una citazione per il breve racconto che chiude la raccolta, Emigranti, che pur attraverso i limiti narrativi abituali suona come un’accusa evidente al fascismo non ancora al potere per aver creato una situazione di minacciosa tensione e di paura; qui troviamo se non altro una presa di posizione coraggiosa nell’ambito del contesto politico reale come andava delineandosi.
In conclusione le convinzioni politiche del Mariani, monolitiche ma grossolane, confermano di non essere in grado di reggere con efficacia un’opera narrativa, evidenziando carenze non trascurabili per quel che riguarda costruzione di trama e personaggi.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo racconto Un caso di morte:
— Perchè hai questa faccia oggi? Sei triste? Perchè?
E, tenendola sulle ginocchia, le prese il viso con la carezza delle mani tenere.
— Occhi smarriti… non sei contenta? Che hai? Che pensi?
— Ho… ho… non lo so. Ho che è il giorno di Natale. Io ho sempre odiato le feste. Quand’ero bambina, i giorni di festa mi rincantucciavo negli angoli di buio per essere sola.
E avevo sempre un nodo in gola.
Ho pianto più i giorni de’ miei compleanni, per esempio, che non tutti gli altri giorni dell’anno messi assieme.
Una volta seppi esser buona per un mese e guadagnarmi il primo posto a scuola per poter pregare la mamma d’una grazia grande: restare a letto tutto il giorno di Pasqua e non veder nessuno. E dormii e sognai e piansi.
Tu non puoi imaginare quanto mi dia fastidio la gioia degli altri, la gioia sguaiata rumorosa, le risate, le risate a bocca piena degli imbecilli, che sembran pizzicati di ghitarre scordate, fesse.
Come mi segano i nervi quelle risate!
Io amo la gioia nascosta, queta. E il sorriso mite: quello che passa negli occhi e in una lieve increspatura delle labbra: il sorriso delle angiole di Leonardo che è soltanto tacita beatitudine d’anima, forse contemplazione di paradiso.
Scarica gratis: Ripugnanze e ribellioni di Mario Mariani.