Opera finale dell’illustre economista e sociologo, il libro raccoglie quattro saggi apparsi nel corso del 1920 e impostati sulla sua nota dottrina delle élites, secondo la quale in ogni società umana una classe eletta, di cui fanno parte gli spiriti più elevati nei rispettivi settori di attività, assurge a un potere dirigente e gestisce la cosa pubblica non già per il bene comune, ma per il proprio tornaconto; pur cercando di mantenersi stabilmente in sella, questa compagine però alla lunga decade per un processo degenerativo per lo più endogeno, e a sostituirla sono uomini più abili e preparati, in genere provenienti dai ceti inferiori che, in dinamica ciclica, a loro volta diventano élite di potere.

Applicando questo schema al governo parlamentare italiano del primo dopoguerra, il Pareto stigmatizza l’aspetto involutivo e immobilistico del suo democraticismo formale, e ne individua le cause nello sgretolarsi della sovranità centrale sotto i colpi di un rinvigorito anarchismo e del comportamento, tanto accomodante quanto subdolo, di un’astuta “plutocrazia demagogica” rappresentata in maggioranza da avidi speculatori e da affaristi arricchiti. È un’impasse terribilmente premonitrice: “tosto o tardi – egli soggiunge – la forza, proprio la forza, deciderà chi deve comandare e chi ubbidire”, principiando, “con o senza catastrofe, un nuovo ciclo”. Scritte nei disorientamenti del “biennio rosso”, e tuttora punto di riferimento per chi vi coglie coincidenze e parallelismi con taluni atteggiamenti e derive della recente politica nazionale, da queste pagine emergono una volta di più gli elementi che caratterizzano il frastagliato percorso intellettuale dell’autore, un benpensante di rigida formazione positivista e ostile alla classe sociale emergente, ma critico lucido e severo anche nei confronti della borghesia liberale, né infine insensibile alle lusinghe normalizzatrici del nascente movimento fascista.

Sinossi a cura di Giovanni Mennella

Dall’incipit del primo saggio Generalità:

Il titolo posto a questo studio non è preciso, e solo in mancanza di meglio si usa qui.
Da prima, il termine democrazia, è indeterminato, come molti altri termini del linguaggio volgare. Il Sumner Maine credè di scansare le difficoltà che si hanno usandolo, sostituendovi il termine di governo popolare; e tale è il nome che diede ai suoi Saggi. Ma il secondo termine non è molto meglio definito del primo, nè v’ha speranza di trovarne altro per dare forma rigorosa e precisa a ciò che è indeterminato e fugace.
Poscia, a dir vero, c’è non già una repentina trasformazione di uno stato in un’altro, bensì una continua mutazione simile a quella che il tempo reca agli esseri viventi; ed è di quel movimento sociale che qui vogliamo studiare un tratto.
Sperimentalmente, dobbiamo collocarlo nella serie sua, non solo, ma benanche in quella dell’insieme dei fenomeni sociali; altrimenti saremmo esposti al pericolo di fare, invece di una ricerca oggettiva, una esposizione soggettiva di sentimenti suscitati dalla veduta di quest’unico tratto.
Qui si parano due difficoltà. Lo studio del complesso sociale è lungo, ed il solo tentativo di compierlo occupa i due volumi della Sociologia. Sarò dunque costretto, contro al volere mio, di rimandare spesso ad essi per osservazioni che qui non potrebbero trovare luogo

Scarica gratis: Trasformazione della Democrazia di Vilfredo Pareto.