Il commediografo Silvio Benedetti fu colpito nel 1936 da una grave forma di malattia nervosa che lo portò al ricovero presso l’Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà, a Roma. Il ricovero durò alcuni mesi. In seguito a questa certamente difficile esperienza il Benedetti scrisse il presente componimento poetico che, nel suo intendimento, doveva essere di “conforto e di fede”; l’autore vuole sottolineare le parziali vittorie che la scienza ottiene nella sua lotta contro le manifestazioni di queste malattie nervose e vuole testimoniare la sua fiducia in una futura definitiva vittoria. Come lui stesso avverte, non si dà troppo pensiero per la forma, ma cerca di rendere invece almeno “una pallida idea” della sostanza. Ma il risultato, anche poetico, non è disprezzabile. Tilgher – che cura la prefazione di questo testo – dice:

«a me pare non si possa negare all’autore […] evidenza di rappresentazione, essenzialità di tocco, rapidità di movenze, nervosità di passaggi.»

Chiaro che l’abilità del commediografo è decisiva per saper cogliere, se pure attraverso lenti talvolta deformanti imposte dalla sua drammatica e traumatizzante esperienza, i frangenti che lo colpiscono e per descriverli con sapienza “scenografica”. Per cui, pur se sullo sfondo permane una pesante atmosfera quasi lugubre e certamente inquietante, non manca la possibilità di cercare un sorriso, un momento spensierato. I compagni di malattia e di ricovero sono visti dall’autore con occhio raffinato e preciso, sia nell’angustia e perfino nella violenza, che nei frangenti nei quali, anche tra “pazzi”, sembra prevalere la saggezza. E forse è questo labile confine che vuole indicarci il Benedetti che ha certamente avuto il merito di tratteggiare un ambiente di tenebra fisica e mentale con la sensibilità di chi lo ha vissuto dall’interno. Di questo lavoro esiste un’edizione del 1937 stampata presso lo Stabilimento tipografico V. Ferri, ma oggi praticamente non rintracciabile. Questo e-book è tratto dall’edizione Cosmopoli del 1938.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della prima poesia Corsia:


LUNGA e lugubre la corsia s’estende.
Qui un lenzuolo ravvolto copre un morto,
là un rantolo fioco l’aria fende
e sul guanciale un viso appar contorto

dagli spasimi estremi d’agonia.
Dovunque faccie pallide e smagrate,
sguardi fissi che il vuoto porta via,
lamenti di creature martoriate.

Scarica gratis: Un poeta fra i pazzi di Silvio Benedetti.